Scrivo alla Redazione di “La Tecnica della Scuola “perché sono un vostro attento lettore e mi ha molto colpito il vostro post di oggi che riportava la frase “Vocazione e passione, è davvero così?“ con all’interno una citazione di Stendhal.
Devo ammettere che leggere e sentire spesso frasi come “per insegnare ci vuole vocazione o passione“ mi urta e non poco. Associare la parola vocazione al ruolo dell’insegnante significa confonderlo con un prete o una suora, come un individuo che durante il sonno o mentre fa la spesa al supermercato vede comparire dinanzi a se la Montessori in veste di Madonna e quindi deciderà di dedicare tutta la sua vita all’insegnamento.
Poi c’è la passione. Per carità: W la Passione di vivere, di amare, di insegnare.
La domanda è: avere vocazione o passione in un determinato lavoro si traduce quasi sempre nel fare bene quel tipo di lavoro?
Un pizzaiolo che ha passione o vocazione per il proprio mestiere è sicuramente un bravo pizzaiolo? Farà sempre una buona pizza?
Penso che nel ricorrere spesso alle parole vocazione e passione, come se fossero i fattori determinanti per essere un buon Docente, si mortifica la scientificità ed il valore accademico di discipline come la Pedagogia e la Didattica. Se la Pedagogia è la scienza della formazione ed educazione e la Didattica è la scienza che studia metodi e tecniche di trasmissione di sapere, va da sé che per essere un bravo insegnante, più che avere passione o vocazione, occorre avere le competenze necessarie dovute allo studio approfondito di questi settori e all’applicazione sistemica di determinati metodi, strategie e strumenti.
Non vorrei, però, che da queste mie prime battute esca fuori una figura dell’insegnante come una sorta di freddo scienziato, di un applicatore metodico di tecniche e strategie e nulla più.
Credo fortemente che a scuola, soprattutto in un periodo storico caratterizzato fortemente dall’uso di dispositivi digitali e da interazioni social che portano sì a connetterti con un’infinita di persone ma a restare soli sul piano pratico, con una società fortemente orientata sempre più all’apparenza e al consumo eccessivo, si senta ancor di più l’esigenza di praticare intelligenza emotiva, empatia, creatività e divergenza del pensiero. Ma proprio per fare tutto ciò, ossia portare gradualmente gli studenti e le studentesse a riconoscere ed alfabetizzare le proprie emozioni, esserne consapevoli e dominatori nella pratica quotidiana, abili e disposti a comprendere l’altro pari su un piano sociale ed emotivo, flessibili ed originali dinanzi ad un compito di realtà, c’è bisogno proprio di quelle conoscenze ed abilità traducibili in competenze che si ottengono solo attraverso lo studio di autori e testi, formazione sul campo, scambio e confronto con colleghi ed esperti del settore.
La passione e la vocazione sicuramente aiutano nel lavorare ed amare questo lavoro ma non fanno di una persona un Docente competente.
Davide Maddaluno
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