Lo smartphone danneggia la psiche dei minorenni. Non lo diciamo noi. Lo dicono i dati, e gli psicoterapeuti lo confermano. D’altronde, non è difficile comprendere che un minore non può non rimanere traumatizzato da ciò che facilmente può reperire in rete. Scene di incredibile violenza, ad esempio, scioccanti persino per gli adulti. Il piccolo, trovandosi da solo di fronte a immagini simili, sente il bisogno di qualcuno che lo fermi, che gli dica di non guardare: ma quel qualcuno non è lì insieme a lui (o lei), perché l’assoluta maggioranza dei genitori è convinta di aver esaurito i propri doveri verso i figli regalando loro l’ultimo modello di device.
Nell’assenza costante di qualcuno che lo aiuti, lo consigli e lo guidi di fronte ad emozioni così forti, il minore si convince di potercela fare da solo. Inoltre, percependo oscuramente di essersi avventurato in territori vietati, nasconde agli adulti ciò che ha visto, temendo punizioni. Continua pertanto a cercare immagini simili, per dimostrare a se stesso di esser forte abbastanza da reggerle, facendosi in realtà del male. Nella migliore delle ipotesi ciò deforma il suo modo di vedere le cose, ne rimescola la scala valoriale, fino a renderlo indifferente a certe scene, riducendone l’empatia, la comprensione e la compassione per la sofferenza altrui.
Malgrado ciò, quasi nove adolescenti italiani su dieci usano lo smartphone ogni giorno. Sette su dieci frequentano quotidianamente il web. Il primo pensiero di ognuno di loro, appena svegli, è controllare il telefono (ed è anche l’ultimo prima di dormire). La media di uso quotidiano è di quattro ore e mezza. Con danni alla vista: occhi irritati, sensazioni di abbagliamento, affaticamento e secchezza oculare. E sarebbe il meno, visto che i danni più gravi sono quelli comportamentali.
Cresce, infatti, il numero degli hikikomori: adolescenti introversi e timidi (soprattutto maschi) che approfittano del cellulare per isolarsi nella propria stanza, col rischio di complicazioni psichiatriche gravi, riscontrabili sempre più spesso specialmente tra i 14 e i 30 anni.
Passare più di cinque ore piegati sul device significa sviluppare seri problemi muscolo-scheletrici — specialmente a spalle e collo — destinati ad aggravarsi nell’età adulta. Possono comprenderlo, tuttavia, ragazzi e ragazze che vedono i propri genitori fissi sul cellulare più di loro? La disattenzione degli adulti è ormai cronica persino mentre guidano, tanto da aver moltiplicato gli incidenti automobilistici imputabili all’uso compulsivo degli smartphone. Possiamo quindi meravigliarci che i giovanissimi camminino in mezzo al traffico fissando lo schermo, chattando e giocando ai videogame con le cuffie a tutto volume?
Che dire poi dei risultati scolastici? Il genitore italiano medio non se ne accorge, ma i docenti ben sanno quanto sia calata la capacità di concentrazione degli alunni nell’ultimo quindicennio. Fatalità? Certamente no. Energie e concentrazione degli allievi sono completamente assorbite dal marchingegno elettronico che essi tengono sempre in mano, e pochissime ne restano per l’apprendimento dei contenuti e delle abilità proposti dalla Scuola.
Ecco perché, quand’anche studino, questi giovanissimi lo fanno in modo mnemonico, superficiale, privo di qualsiasi interesse per l’approfondimento (e per la semplice comprensione). «Eppure», sostiene il genitore medio, «sta sempre in camera a studiare!».
Lo stesso genitore medio non controlla che la propria prole faccia colazione la mattina prima di recarsi a scuola. Né che dorma bene, almeno otto ore a notte. Infatti, anche il ritmo circadiano del giovane è danneggiato dall’abuso dei cellulari, rendendo difficile l’addormentamento a causa della continua sovreccitazione nervosa che procura.
Eppure è noto a tutti che la carenza di riposo notturno è gravemente nociva, e che ad essa sono spesso dovuti i disturbi ossessivo-compulsivi evidenziati da non pochi adolescenti. Se non dormono adeguatamente, i giovani vanno incontro a disfunzioni metaboliche, possibilità di sviluppare il diabete, stanchezza cronica. Ne possono derivare abuso di alcolici, depressione, dipendenza da stupefacenti, e persino malattie cardiovascolari.
Infine, l’uso compulsivo degli smartphone può generare una vera e propria dipendenza dalla tecnologia, riconoscibile quando il soggetto letteralmente non pensa ad altro che a quello e agli altri apparecchi elettronici, ormai incapace di provare alcun interesse per ciò che prima lo attraeva. La dipendenza dal cellulare lo porta a perdere il controllo di sé quando ne sia privato, ad isolarsi dalla realtà e, di conseguenza, a vivere nell’ansia e a deprimersi.
È dunque corretto che la Scuola spinga gli studenti usare la tecnologia anche per studiare? O non sarebbe più saggio che la Scuola stessa fosse il momento della libertà della mente (l’otium dei Romani antichi, la scholé degli antichi Elleni), nel quale si sperimenta com’è bello pensare insieme e scambiarsi informazioni e idee, guardandosi negli occhi, ascoltandosi, parlandosi, leggendo libri di carta e scrivendo con la penna? Non è forse vero che — come tutti i giornali riportano — persino gli alti funzionari della Silicon Valley, ideatori e creatori del mondo degli smartphone, vietano lo smartphone ai propri figli?
Forse è il caso di dircelo francamente e con coraggio: lo smartphone può essere un’arma, come può esserlo un’automobile. E come l’automobile non si mette in mano a un minorenne (che con essa farebbe male a se stesso e agli altri), così non gli si può affidare uno smartphone.
Aspettiamo dunque, per consegnarlo ai giovanissimi, che questi abbiano almeno 17 anni, se siamo adulti consapevoli della realtà.
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