Poche volte, nel nostro Paese, si è verificato uno scarto così significativo tra “i cittadini”, non solo, quindi, fra il personale scolastico, e il “palazzo”. Non a caso, lo sciopero, proclamato dai Cobas, contro i quiz Invalsi nella scuola primaria ha raggiunto percentuali altissime grazie, anche, alla scelta delle famiglie di non mandare i propri figli a scuola nei giorni di somministrazione delle prove.
La prima sensazione è quella della sconfitta, dello scoramento. Scoramento non solo per ciò che attende il personale, a partire dal prossimo anno scolastico, ma soprattutto perché questa controriforma impedisce un cambiamento vero della scuola e fa aumentare diseguaglianze e fallimenti scolastici.
Altro che innovazione e rottamazione; molto più banalmente, stiamo assistendo a una vera e propria restaurazione, alla fine della scuola della Costituzione. Di quella scuola per tutte/i, impegnata a garantire percorsi di istruzione qualificati e a stimolare nei discenti l’acquisizione del pensiero critico.
Obiettivi, questi ultimi, incompatibili con la figura del preside-podestà, la fine della libertà di insegnamento, lo svuotamento degli organi collegiali, la concorrenza e la competizione fra i docenti. E, purtroppo, non finisce qui.
Le molteplici deleghe in bianco di cui dispone il Governo (dai programmi alla formazione dei docenti) non lasciano presagire nulla di buono, anche perché sulla scuola, o meglio contro la scuola pubblica, negli ultimi venti anni, fra le scelte del centro-destra e quelle del centro-sinistra, non c’è mai stata soluzione di continuità.
Per troppo tempo contro tali scelte, anche all’interno della scuola, non si sono levate voci critiche in numero sufficiente.
Oggi, questo silenzio è stato rotto.
I lavoratori, unitariamente, hanno ripreso a parlare rivendicando diritti, dignità e, soprattutto, difendendo la scuola come bene comune. Coscienti che, se vengono cancellate democrazia, collegialità e cooperazione, perde di senso lo stesso diritto allo studio.
E’ un significativo passo avanti, che deve essere consolidato e che rappresenterà un patrimonio decisivo quando saranno chiari a tutti i risultati fallimentari, ovviamente per chi ama la scuola pubblica, della controriforma.
Per questo acquista un’evidente centralità la manifestazione del 7 luglio a Roma.
Una mobilitazione che guarda al futuro. Se è, infatti, vero che con l’approvazione della controriforma saranno più difficili le condizioni per cambiare la scuola, non è scritto da nessuna parte che il presunto servo non possa liberarsi dal/del padrone.
Come si diceva una volta, “l’albero può desiderare la calma, ma non per questo il vento cesserà di soffiare”.
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