Come migliorare la scuola italiana? Una domanda perenne nel nostro Paese, almeno da quando è iniziata l’epoca delle riforme, la cui traduzione in termini di didattica significa: come rendere efficace il nostro sistema formativo e innalzare la qualità dell’istruzione? Dopo gli ultimi esiti delle rilevazioni Invalsi, che hanno condannato ancora una volta il Mezzogiorno agli ultimi posti nella classifica nazione, la questione acquista ancora più peso e ancora di più si sostanzia sotto l’incalzare della cosiddetta “regionalizzazione” che pretenderebbe una sorta di autonomia amministrativa da parte di tre Regioni padane, sempre più insofferenti dai legami col Miur e della nomina dei prof provenienti da altre regioni, meridionali in particolare.
Tenere la scuola unita dunque significa pure dare risposte certe, in modo, non solo di uniformare con livelli standard l’istruzione italiana, ma anche rendere la nostra scuola competitiva a livello europeo e oltre.
A questo scopo è stato pubblicato un interessante libro per i tipi de Il Mulino, “E’ possibile una scuola diversa? Una ricerca sperimentale per migliorare la qualità scolastica”, a cura di Daniele Checchi e Giorgio Chiosso.
E la sperimentazione ha preso il nome di Scuolinsieme che ha coinvolto un campione di istituti comprensivi attraverso cui si è cercato di creare un prototipo di miglioramento “in situazione”, fondato tra scuola e tutor, mentre si sono sperimentati revisioni e miglioramenti dell’organizzazione interna.
Tre i nodi individuati: potenziare la leadership dei dirigenti; sviluppare le competenze e la collaborazione fra gli insegnanti; accrescere le motivazioni allo studio e migliorare il metodo di apprendimento. Conseguenziale sono stati pure i diversi livelli di valutazione, di natura qualitativa e quantitativa.
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