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È reato far grugnire l’alunno per dargli una “lezione”, maestro condannato

Un insegnante che fa grugnire un alunno impertinente commette un reato. Soprattutto se l’alunno ha appena sette anni. A stabilirlo è la Cassazione, che si è così espressa a proposito della decisione di un maestro di far mettere a terra a quattro zampe e far grugnire un suo alunno che aveva “osato” deriderlo facendo il verso del maiale davanti alla classe.

Secondo la Corte, la decisione dell’insegnante di dare “una lezione” di questo genere all’allievo rappresenta,infatti, un abuso dei mezzi di correzione, reato punito dall’articolo 571 del codice penale.

La Cassazione ha quindi reso definitiva la condanna a due mesi (sospesa con la condizionale) e al risarcimento dei danni in sede civile (e al pagamento delle spese di giudizio di 3.500 euro) di un insegnante, oggi cinquantenne, che al momento del fatto, nel 2006, stava facendo una supplenza in una scuola elementare di Bagheria (Palermo).

Per la Sesta sezione penale – si legge nella sentenza 15149, che si riferisce all’udienza del 19 marzo – il maestro ha commesso “una prevaricazione” e oltretutto ha sbagliato a rispondere ad un atto da lui percepito come “bullistico” con una imposizione del potere.
Secondo la Corte “appare del tutto fuori centro il riferimento fatto dal ricorrente al contesto ‘bullistico’, alimentato dall’area territoriale ‘mafiosa’, in cui a suo avviso andava inquadrata la condotta”. Si tratta – per la Cassazione – di un’osservazione “non solo palesemente avventata, avuto riguardo della tenera età della persona offesa, ma comunque espressione della distorta idea che di fronte a simili contesti ‘bullistici’ possa reagirsi con metodi che finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) debbano essere risolti sulla base di rapporti di forza o di potere”.

Nel ricorso l’uomo, attraverso il suo avvocato, aveva sostenuto che, considerato “il contesto culturale-ambientale” della scuola, “la lezione di forte contenuto simbolico” imposta all’alunno, che aveva “gravemente compromesso la credibilità dell’insegnante” davanti alla classe, avesse finalità educative e fosse adeguata alle esigenze.

Anche se i giudici, nella sentenza, ammettono che il comportamento del bambino avesse “certamente messo in crisi la sua credibilità di docente”, evidenziano anche come rispondere con lo stesso dileggio “all’impertinente offesa” abbia avuto “una ben più accentuata ripercussione sul piano psicologico” del bambino e anche “sulla sfera dell’onorabilità, che è patrimonio anche dei minori”. Un aspetto, quest’ultimo, che tutti gli insegnanti dovrebbero sempre tenere ben presente.

Alessandro Giuliani

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