Chissà se, tra i tanti scenari ipotizzati dalla ministra Azzolina, c’è anche quello che mi frulla in testa da qualche tempo e che mi appresto a illustrarvi. Chissà se lo scenario da me ipotizzato potrebbe essere realizzato ragionevolmente, senza correre troppi rischi, con decreto ministeriale e con l’avallo di illustri virologi? Forse l’ipotesi più insensata e ingenua prospettata dal Ministero dell’Istruzione è quella che prevede il rientro indifferenziato di più di otto milioni di studenti (compresi gli ottocentomila degli istituti paritari) e di quasi un milione di insegnanti tutto d’un colpo, d’emblée, il 18 maggio. Ci vuole poco, del resto, a capire che alla data del 18 maggio la situazione sarà, ovviamente, migliorata rispetto a oggi, ma non così tanto da consentire un tale assembramento di persone in spazi chiusi, come sono le aule delle scuole. Nulla di più irragionevole e irrealizzabile pertanto, inutile anche da prospettare (e sbandierare ai quattro venti, aggiungo), sebbene nessuno sia dotato di sfera di cristallo, atta alla predizione del futuro, o di particolari capacità divinatorie. Ma tant’è…
Detto questo, a me pare molto più ragionevole invece ipotizzare una soluzione che anticipi, addirittura, l’ingresso a scuola di due settimane e che riduca drasticamente il numero degli allievi da far rientrare in classe. Il mio scenario prevede il ripristino della DIP (didattica in presenza; l’acronimo è del sottoscritto) per i soli studenti del 5° anno che, per la cronaca, sono appena quattrocentocinquanta mila e il loro rientro già lunedì 4 maggio. In questo modo, ai ragazzi maturandi potrebbe essere riproposta l’antiquata, antistorica e ormai superata DIP, (l’unica che assicura qualità e serietà ad un esame di stato che elargisce titoli di studio che hanno valore legale), relegando il surrogato emergenziale della DAD (la formula innovativa, ovviamente, quella destinata – da ora in avanti – alle nuove generazioni dei nativi digitali), a chi la promozione ce l’ha già in tasca non per meriti acquisiti sul campo ma per decreto. Ovvero agli altri restanti poco meno di otto milioni di studenti italiani che possono restarsene comodamente a casa anche dopo l’esaurirsi della pandemia e quando la DAD entrerà a pieno regime nel nostro Paese, ahimè, in pieno regime.
Visto che ci sono, do anche qualche dritta logistica di come si potrebbe attuare questo mio ipotetico scenario finalizzato al raggiungimento di una preparazione adeguata degli studenti del 5° anno e allo svolgimento regolare degli esami di maturità 2019-2020. Se permettete, per far ciò, vorrei indossare il giubbotto di Renzi (quello alla Fonzie) visto che anche lui, forse ancor più dell’Azzolina, scalpita per far ripartire la scuola, rischiando di vanificare un lunghissimo periodo di disagi e privazioni collettivi atti a limitare, il più possibili, gli effetti disastrosi del contagio di massa. Certo, anche Renzi, ci aveva provato (e, in parte, ci è riuscito), a modo suo, a stravolgere il mondo della scuola. Aveva in animo di ammansirla (nell’accezione di renderla buona) e di imbellettarla tutta, anche solo artatamente e con un maquillage di facciata, ma non si sarebbe mai potuto spingere tanto oltre da immaginare, addirittura, una Scuola supertecnologica capace di porre a distanza siderale studenti e insegnanti, ma, allo stesso tempo, rendendoli vicini virtualmente. Prodigi della scienza, a servizio della nobile arte della Didattica, sbalorditivi e impensabili fino a poco tempo fa. E, a quanto pare – a detta di molti – la didattica, con la distanza, ci guadagna. Eccome se ci guadagna!
La mia proposta è ragionevole ed espressa con sincerità e buona fede e, se non vi dovesse piacere, vi prego, non trattate anche me da bischero. Io, del resto, non ho alcun potere se non quello della logica e della parola. Dopo la salute e il lavoro (si può lavorare, ovviamente, anche da ignoranti) la scuola, la formazione e la cultura sono le cose più importanti in assoluto nella vita di ogni essere umano.
Si potrebbe, per cominciare, e nel frattempo (prima del rientro a scuola di questo sparuto gruppo di studenti), sanificare tutti i locali delle scuole o, se non altro, anche solo di una parte, di un solo piano – per esempio – quello da adibire alle attività della DIP. A questo lavoro preventivo e necessario, farebbe seguito la redistribuzione dei banchi all’interno delle aule. Premettendo che per ogni classe di circa venti studenti necessiterebbero due locali distinti, basterebbe addossare le file di banchi alle pareti di fianco e distanziare i tavoli di almeno un metro e mezzo o meglio ancora due, ove fosse possibile. Un ampio corridoio centrale per la corretta deambulazione, mentre la cattedra, al solito, rimarrebbe a debita distanza. Tutti disinfettati a dovere, tutti a distanza di sicurezza, tutti, nell’eventualità, a starnutire dentro l’incavo del gomito, tutti forniti di fazzolettini di carta e barattoli interi di amuchina, tutti autorizzati ad andare spesso in bagno, se non esclusivamente per espletare le normali esigenze fisiologiche, per il lavaggio accurato delle mani. Serve altro? Io penso di no. Credo si possa fare a meno anche delle mascherine in tale situazione di sicurezza prospettata. Ma se, e ove, questo presidio medico dovesse esserci non sarebbe da escluderne un uso adeguato e parsimonioso.
Come si diceva, il gruppo classe andrebbe suddiviso in due e mentre dieci di loro farebbero alla prima ora matematica, gli altri dieci sarebbero impegnati con la professoressa di italiano. Alla seconda ora, ovviamente, gli insegnamenti andrebbero invertiti. In due ore, i docenti, sarebbero costretti a ripetere la medesima lezione, ma il gruppo classe avrebbe fatto, nel frattempo, matematica e italiano. Una breve ricreazione di dieci minuti e subito a capofitto a fare inglese e storia con la medesima alternanza già illustrata. Si potrebbe ipotizzare un’altra breve pausa e altre due ore di lezione? Questo non sta a me consigliarlo, ma sarebbe ragionevole farlo ove si volessero recuperare le tante lacune accumulate con la precedente irruzione e attuazione della “formidabile” DAD.
Perché, parliamoci chiaro, sebbene ci sia qualcuno (in principio ero convinto che il visus attaccasse solo i polmoni, ma, evidentemente, in casi, neppure tanto rari, pare possa dare addirittura alla testa), più di qualcuno, invero, che è convinto che la DAD sia una forma mirabolante di didattica che consente, in certi casi, non solo di fare l’ordinario ma, addirittura, di strafare. In molti sono proprio convinti delle potenzialità illimitate e risolutive, per i secoli a venire, della DAD. Essa, con estrema flessibilità, può essere indirizzata sia al gruppo intero della classe, ma anche al singolo alunno, ove lo si desiderasse, con un rapporto uno a uno davvero invidiabile, oltretutto riuscendo a ottenere risultati impensabili e di gran lunga superiori a quelli della vecchia e decrepita DIP. In questi giorni, e non solo nelle riviste specializzate di settore, se ne stanno leggendo di tutti i colori. Cose da mettersi le mani ai capelli. E a me continuano a venire i sorci verdi, giusto per rimanere in tono. Ma non parliamo di questo, ché non è l’argomento della riflessione, e andiamo brevemente alla conclusione.
Nessuno mette in dubbio che adesso si stia combattendo una guerra di quelle vere. La pandemia sta colpendo tutti indistintamente e ognuno deve fare la sua parte, in base alle sue possibilità e competenze. Per fortuna, però, i nostri diciottenni/diciannovenni non sono davvero partiti per raggiungere un reale fronte di guerra. Non mi pare che il loro dito indice sia impegnato a premere il grilletto di un fucile; semmai è intento a sfiorare dolcemente lo schermo da 6 pollici di sofisticati smartphone, invero, molto spesso, con la precipua intenzione di assecondare le richieste ossessive della DAD. Non mi pare siano indisponibili al momento, o lontani da casa. Anzi. Tutt’altro. Semmai, il contrario.
Potrebbero benissimo svolgere la normale didattica accanto ai loro insegnanti in presenza, in tutta sicurezza, in tutta serenità, come capita a tutti quelli che hanno continuato a lavorare la terra (per fare un esempio qualsiasi), per fornirci i prodotti di prima necessità e che non si sono mai fermati per tutta la durata della pandemia. Magari un giorno riusciremo ad allevare e a coltivare capre e cavoli a distanza; nulla si può escludere, niente di più probabile. Ma questo appartiene ad un futuro distopico che spero di non dover mai vivere.
Ben altri son quelli che stanno combattendo la guerra. L’aggiornamento del bollettino dei decessi lo sta a testimoniare. I medici e gli operatori sanitari, quelli sì, stanno facendo la guerra, loro sì, stanno perennemente in trincea. H24, come direbbe la ministra Azzolina. A loro, se non quello generalizzato del mondo della Scuola, va il mio plauso e il mio ringraziamento sentito.
Ivano Marescalco
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