Da più parti, ultimamente, è un susseguirsi di proposte, ricette e soluzioni miracolose atte a risolvere il problema, oramai divenuto cronico, del rientro a scuola attuato all’interno di aule infuocate dopo le lunghe vacanze estive, che prevedono, perlopiù, di posticipare la ripartenza, se non altro, ai primi di ottobre.
C’è chi propone di ricominciare le lezioni in pieno autunno e di chiudere i battenti almeno una settimana dopo il solstizio d’estate e chi ritiene più opportuno prendersela comoda contraendo le vacanze natalizie e pasquali per rientrare appieno negli oltre duecento giorni di attività didattica da svolgere, inderogabilmente, affinché l’anno scolastico sia valido. C’è chi si spinge oltre e ipotizza, addirittura, di recuperare le fantomatiche ore del tempo pieno, o prolungato che dir si voglia, per colmare l’inevitabile gap formativo che si verrebbe a creare e ho sentito pure qualcuno proporre improbabili scambi culturali settembrini e ottobrate di didattica pluridisciplinare e multietnica con le istituzioni scolastiche della Lapponia che, notoriamente, dai problemi del surriscaldamento globale non sono sfiorati, neppure alla lontana.
Premetto che la mia vetusta scuola (è stata costruita, ex novo, agli inizi degli anni sessanta) cade letteralmente a pezzi non avendo beneficiato, nel corso degli anni, per almeno un sessantennio, del benché minimo intervento di manutenzione ordinaria né, tantomeno, alcuno si sia prodigato ad attuare interventi, ben più sostanziosi, di natura straordinaria. Le grondaie e i pluviali, intasati da tempo immemore, non riescono a far defluire correttamente le scarse precipitazioni piovose (essendo l’edificio allocato nel profondo sud), che di tanto in tanto imperversano pure qui, rendendo i locali dell’ultimo piano inagibili.
E i bagni, pur volendo mantenere un certo aplomb sforzandomi di apparire rispettoso anche nei confronti dei vecchi manufatti edilizi, non son degni neppure di essere definiti, nell’accezione etimologica spregiativa del termine, dei cessi, tanto è penosa la loro condizione generale.
Per non parlare, poi, dei pavimenti realizzati con anacronistici mattoni di scaglietta che hanno pensato bene di disseminare ovunque minuscole scaglie di marmo policromo, che risultano adesso delle superfici accidentate e butterate, non volendo tirare in ballo gli infissi che, di vetusta concezione e realizzazione, coi loro fragilissimi vetri di appena tre millimetri di spessore, sono un pericolo incombente anche agli occhi ingenui e distratti di un bambino della scuola primaria.
Però, da qualche settimana, la mia scuola fatiscente si è dotata di ben tre laboratori fantasmagorici (in quanto vivacemente tinteggiati) per le professioni digitali del futuro che, fatalmente, dovranno fare i conti con una preponderante quota parte di acume artificiale, tanto in voga adesso, e di ben nove classroom di nuova generazione che hanno trasformato le precedenti aule insignificanti in ambienti strabilianti di apprendimento innovativi.
Il tutto alla modica cifra di poco più di quattrocentomila euro con i quali, forse, si sarebbe potuto dare una bella rabberciata generale all’edificio decrepito dell’Istituzione scolastica alla quale appartengo, sistemando alla meglio le carenze strutturali, impiantistiche e di finitura più eclatanti.
Oppure, per tornare alla questione di partenza, si sarebbero potuti dotare tutti gli ambienti scolastici, comprese le aule per la didattica ordinaria e non solo la presidenza, la vicepresidenza e gli uffici di segreteria come accade adesso, di climatizzatori adeguati spendendo forse meno di un quinto di quella cifra esorbitante.
Sarebbe rimasto anche un cospicuo fondo cassa per pagare le bollette dell’energia elettrica impiegata negli anni a venire. Saremmo stati tutti al fresco, non nel senso figurato di stare dietro le sbarre, per almeno un decennio o forse più.
Se avessimo chiesto preventivamente lumi all’I.A., visto che quella umana attuale è carente di elasticità mentale e di buon senso, ovvero se era più opportuno investire i fondi europei del PNRR in nuove tecnologie informatiche o se fosse stato più ragionevole e utile installare dei climatizzatori nelle aule dei nostri studenti, sono certo che non avrebbe avuto la benché minima esitazione.
E a pochi giorni dall’inizio delle lezioni, in Sicilia, ma non solo in questa terra fortunata baciata dal sole, per almeno un paio di mesi, schiatteremo tutti di caldo in barba al diritto dei lavoratori di operare all’interno di ambienti vivibili e confortevoli e a discapito dei nostri figli in età scolare, futuro e speranza di questa nazione, che meriterebbero ben altro trattamento e considerazione.
Ivano Marescalco
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