Che ormai il Contratto sia diventato più o meno carta traccia è sotto gli occhi di tutti. Con le “norme imperative” di Brunetta è iniziata una radicale inversione di tendenza rispetto a quella che pareva essere una tappa miliare ed una svolta epocale degli anni Novanta: la contrattualizzazione del pubblico impiego.
“La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali”, così stabiliva il D.lvo 29/1993, che aveva introdotto una rivoluzione culturale oltre che giuridica.
Per effetto delle norme Brunetta invece, l’ambito contrattuale è stato molto ridotto dalle nuove disposizioni “a carattere imperativo”, che hanno profondamente modificato le “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” (D.lvo 165/2001). In particolare, sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale e quelle relative alle prerogative dirigenziali. Anche nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche “la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”.
Come già spiegato in un precedente articolo, da alcuni anni è in atto, inarrestabile, la destrutturazione dei contratti scuola. Ogni ministro che arriva cambia le regole, ovviamente in peggio, introducendo nuovi obblighi in nome della “produttività” e della spending review. Così sono stati bloccati gli scatti stipendiali d’anzianità, unico tipo di progressione economica vigente, senza alcuna alternativa di riforma, e lo stesso Contratto è stato bloccato fino al 2014. Anche se il tentativo troppo “spinto” di Profumo/Monti di aumentare ben 6 ore di insegnamento a parità di stipendio è andato a vuoto, la prassi della norma imperativa è comunque talmente consolidata che anche il ministro Carrozza nel DL Scuola ritiene un fatto naturale inserire l’orientamento obbligatorio nelle attività funzionali all’insegnamento, cambiando unilateralmente la norma pattizia.
All’interno delle scuole poi, tutto è diventato prerogativa del dirigente, non solo l’utilizzazione del personale e l’organizzazione del lavoro. In varie scuole ad esempio, da quest’anno il collegio dei docenti è stato esautorato dal deliberare il piano annuale delle attività.
Se leggiamo il Contratto, all’articolo 28, prima dell’inizio delle lezioni il dirigente scolastico predispone il piano annuale delle attività con gli impegni del personale docente. “Il piano è deliberato dal collegio dei docenti nel quadro della programmazione dell’azione didattico-educativa”. Ma c’è chi sostiene che non sia più di competenza del collegio, convinzione fatta propria da molti presidi. Come argomenta l’Anp Piemonte sul proprio forum, “La modifica normativa (del D.lvo 150/2009) ha di fatto superato e annullato la norma contrattuale che assegna al collegio docenti il diritto di deliberare il piano annuale delle attività dei docenti, che rientra a pieno titolo nella competenza del dirigente, che può opportunamente confrontarsi con i suoi collaboratori e con il collegio stesso, ma che non può cedere al collegio una prerogativa dirigenziale”.
La stessa cosa è accaduta col registro elettronico. Con la motivazione che si tratta di una disposizione di legge, viene imposto dal dirigente scolastico con la formula del “dobbiamo adeguarci”, “dobbiamo ottemperare”. Intanto nelle scuole succede di tutto, e i sindacati sono intervenuti tardi a mettere in guardia i docenti. Non è raro infatti che si “ottemperi” dal computer personale o di casa, o comunque in tempi differiti. A volte circolano improvvisate versioni cartacee. Nulla si sa della validità della firma. Nel caos spesso torna in auge il primitivo “quadernetto” del docente, in dotazione fai da te. Lavoro doppio si intende. Per non parlare delle risorse con cui è stata fronteggiata la spesa considerevole connessa all’implementazione della nuova strumentazione, praticamente scaricata sulle istituzioni scolastiche, visto che la legge dispone che all’attuazione dei nuovi obblighi “si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. In una scuola alla deriva, e in mancanza di linee guida precise a livello centrale, il confine fra legittimo e illegittimo rischia di diventare sfumato, astratto, irrilevante.