Personale

Eccesso di Dad? Meglio leggere un buon libro. La figura… “mitologica” del docente

I docenti potrebbero approfittare di questi giorni di vacanze pasquali (ma direi più complessivamente di questo periodo “forzato” di lontananza dall’aula e di didattica a distanza) per consigliare ai ragazzi di leggere qualche libro in più, a partire dai classici per arrivare alla letteratura contemporanea. E per i più piccoli la letteratura per l’infanzia offre una vasta gamma di opportunità.

C’è invece chi punta forte sulla Dad forse per istituzionalizzarla anche per il futuro, ma di ciò scriverò in questo articolo tra poco. Quando imperversa una emergenza sanitaria terribile e quando siamo arrivati al punto di non poter garantire il funerale alle persone che non ce la fanno, parlare (in qualsiasi campo) di “opportunità” per il futuro è stonato e fuori luogo, per usare un eufemismo.

Sarebbe meglio, quando sarà il momento, riflettere invece sulle politiche globali degli ultimi decenni che hanno danneggiato il pianeta, la vita dei suoi abitanti, gli equilibri sociali (ed economici, già densi di macroscopiche diseguaglianze inaccettabili prima, ma diventate adesso ancora più accentuate), ridotto i diritti dei lavoratori e di chi ad un’età “accettabile” possa avere almeno l’opzione di andare in pensione (magari proprio per avere il tempo di riavvicinarsi alla lettura di qualche buon libro), anche perché è evidente una maggiore esposizione al rischio di malattia e di usura degli ultrasessantenni (a parte chiaramente chi ad ogni età deve convivere con patologie varie), nonché tagliato stanziamenti per welfare, sanità, istruzione. E sarebbe opportuno, anzi è necessario che chi ha guidato per anni una globalizzazione che ha perseguito solo scopi di carattere speculativo finanziario (multinazionali in testa) si faccia da parte per un radicale cambio di passo, magari un passo indietro verso una stagione meno frenetica ma piena di vitalità, piuttosto che ulteriori passi avanti verso un “medioevo tecnologico”.

La “pietas” di Omero che descrive le onoranze funebri del principe troiano Ettore e le immagini shock delle fosse comuni di Hart Island, nel Bronx

E giusto per ricordare che la scuola non è solo competenze (tecnologiche o di “manovalanza intellettuale”), peraltro totalmente inutili senza le conoscenze che formano cultura e cittadinanza, vorrei “spezzare una lancia” a favore anche della cultura umanistica – ovviamente da non contrapporre a quella scientifica (ma neppure subalterna, tanto meno alla cosiddetta “tecnoscienza”) – soffermandomi proprio sul discorso (non proprio… banalissimo e marginale!) delle “onoranze funebri”.

Qualcuno ricorda con quali versi termina l’Iliade, il poema di Omero? Dopo che il re di Troia, Priamo, si reca nella tenda di Achille per chiedere che gli venga “pietosamente” consegnato il corpo del figlio morto, Ettore, ed essendo stato accolto il suo accorato appello, vengono rese al condottiero troiano le onoranze funebri: “Questi furo gli estremi onor resi (renduti) al domatore di cavalli Ettorre” (nella vecchia “classica” traduzione di Vincenzo Monti). Che bell’insegnamento da parte di Omero: a parte la pietà di fronte alla morte, ecco che Ettore non viene definito “il principe troiano”, “il comandante dell’esercito”, l’eroe che cade in una sfida sostanzialmente impari, ma “il domatore di cavalli”, anche se la locuzione in effetti va intesa nel caso specifico come auriga esperto. Ma richiama comunque ad una dimensione umana di fronte alla morte.

Un contrasto con le immagini scioccanti che provengono da Hart Island, isolotto (usato da 150 anni come cimitero per chi non può permettersi funerali o non ha nessuno che ne reclama il corpo) al largo del Bronx a New York: decine di bare accatastate l’una sull’altra all’interno di lunghe fosse comuni mostrano l’effetto devastante di Covid-19. Anche se poi in effetti la Repubblica” on line riporta: “Se siano vittime del coronavirus nessuno lo sa. Se sono morti in casa, da soli, è probabile: ma non viene fatto loro il tampone”.

Ai ragazzi consigliare di leggere un buon libro

Si parla tanto di didattica a distanza, di piattaforme, di video lezioni utilizzando pc e tablet, o di smartphone per chat di classe o per l’interazione tramite whatsapp tra alunni e docenti  (con eccessi che non tengono conto del rischio per gli adolescenti in particolare di dipendenza da schermo e per alunni e insegnanti per la salute degli occhi, conta anche la salute dei docenti, no?), ma forse suggerire ai ragazzi in questo momento di smarrimento per tutti (studenti, famiglie e anche docenti, che non sono né “superman” o “superwoman” né “tuttologi” come da qualche anno taluni in modo qualunquista pretenderebbero) di leggere qualche buon libro (preferibilmente cartaceo se possibile – già gli adolescenti stanno tanto collegati a pc, smartphone, tablet, videogiochi – altrimenti un e-book, pazienza), magari qualche classico della letteratura, non sarebbe poi tanto una brutta idea, vero? Anche perché quel che conta maggiormente in questa fase è la partecipazione degli alunni e forse per valutarne dal punto di vista formativo l’impegno (perché voti “ufficiali”, per motivi già spiegati tante volte, non vanno legittimamente assegnati) è più facile farsi descrivere il contenuto di un libro e le “emozioni” che ha determinato che non valutare un compito… non si sa da chi eseguito effettivamente o comunque condizionato dalle possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici dei quali gli studenti non dispongono tutti allo stesso modo.

Ma forse l’epica di Omero (citato ovviamente solo come esempio) è considerata stantia in un mondo che tende sempre più all’effimero, al virtuale, alle tecnologie fini a se stesse e non invece al servizio delle scienze.

Docente come… figura mitologica a basso costo “inquadrato” in una sorta di pensiero unico piramidale?

Dicevo che è un  momento di smarrimento per tutti, ragazzi, famiglie e anche docenti, Sì, perché gli insegnanti non sono né “superman” o “superwoman” né “tuttologi”; oggi sembra volersi delineare una nuova immagine “mitologica” dell’insegnante, che anziché offrire conoscenze, educando nel contempo alla cittadinanza, dovrebbe supplire altri ruoli e connotarsi  in varie figure “diventando” psicologo, assistente sociale, burocrate, persino talvolta “vigilantes”, e per qualcuno una sorta di “compagno di gioco” degli alunni che gli suggeriscono cosa e come insegnare. Ho dimenticato di rispolverare il buon vecchio “missionario” (magari in versione 2.0, purché gli stipendi restino poco sopra lo 0.0).

La Dad  va considerata come condizione emergenziale in una situazione di assenza della scuola reale

Peraltro la scuola è una comunità educante, si parla giustamente di integrazione, di relazioni personali, e la didattica a distanza  va considerata come condizione emergenziale in considerazione della contingenza che rende impossibile l’incontro in aula. E questo non lo dicono solo la larghissima maggioranza di docenti e anche di presidi, ma fior di pedagogisti, educatori, psicologi.

Mi è molto piaciuto l’intervento su questo giornale da parte di Rodolfo Marchisio, che tra l’altro cita il Cidi, riportando: “La grave emergenza attuale non è un’occasione per incrementare la didattica a distanza, ma una situazione di assenza della scuola reale da fronteggiare con ragionevolezza”. E cita anche il libro di Marco Gui “Il digitale a scuola”, che scrive Marchiso “fa la storia delle costose mode nella nostra scuola imposte dal politico di turno e dalle industrie collegate: Lim, classi 2.0, 3.0 e via spendendo (milioni di euro) e formando; sottolinea che non esiste nessuno studio (neanche del Ministero) che dimostri la efficacia di queste spese e mode”.

Anche perché i fautori delle “flipped classroom”, delle “classi 2.0”, magari “3.0, 4.0” potrebbero risvegliarsi e trovare desolatamente classi “Covid.19”.

Riaprire le scuole a maggio sarebbe una decisione assai pericolosa

Soprattutto se si cedesse alla “follia” di riaprire le scuole nel mese di maggio, una ipotesi non praticabile e se qualcuno decidesse per l’apertura (anche in sequenze differenziate) se ne assumerebbe in tutti i sensi le responsabilità. Anche se poi, riflettendo, mi chiedo perché non si esclude a priori che le scuole possano aprire a maggio e che si possano fare scrutini ed esami di Stato in presenza a giugno, e nel contempo però si anticipa che probabilmente a settembre si riprenderà con la didattica a distanza: ma come, se a maggio/giugno si ipotizza una possibile apertura (che sarebbe una decisione sciagurata) perché si dice sin da adesso che a settembre ci sarà forse ancora bisogno della Dad? Forse che “a prescindere” si vuole istituzionalizzare la didattica a distanza al di là dell’emergenza sanitaria, usando quest’ultima come “cavallo di Troia” (per rimanere in tema omerico, anche se l’episodio della capitolazione della città troiana viene citato brevemente nell’ottavo libro dell’Odissea e invece poi ripreso con più particolari nel secondo libro dell’Eneide di Virgilio) per arrivare a una decisione non condivisa dalla quasi totalità di chi nella scuola opera quotidianamente? Sarebbe persino offensivo… per Ulisse (Odisseo) che escogitò il “tranello” del cavallo di legno per permettere agli Achei l’ingresso nella città di Troia.

Interventi equilibrati da parte di molti lettori sulla didattica a distanza e sull’utilizzo di strumenti tecnologici

Molto equilibrati mi sono sembrati gli interventi in questo sito di alcuni lettori: ad esempio quello di un formatore sulle nuove metodologie didattiche e sull’innovazione digitale (e quindi non accusabile di essere un “conservatore” nel campo delle nuove tecnologie), che scrive “quali strumenti adoperare per la Dad? Bisogna stare attenti all’effetto novità ed evitare atteggiamenti compulsivi e intrisi di protagonismo. Sono un formatore sulle nuove metodologie didattiche e sull’innovazione digitale, eppure mi sento di affermare che occorre distillare l’utilizzo degli strumenti tecnologici nella didattica”.

C’è invece chi ha interesse a “istituzionalizzare” la didattica a distanza? E per quali motivi?

Altra lettera di buonsenso quella che si sofferma anche su un attacco alla funzione docente innescato dalla legge 107 “che ha portato a compimento il disegno aziendalistico di certa politica”, dopo aver sottolineato a proposito della Dad: “Relativamente alla didattica a distanza, anch’essa deve essere considerata e gestita tenendo conto solo del fattore emergenza (…) non potrà MAI sostituire la didattica d’aula perchè il contatto diretto docente/discente è insostituibile. (…) S’insegna anche con la testimonianza di vita, con la coerenza, con l’esempio. Insomma, l’insegnamento non può, proprio per la sua peculiare natura, essere sostituito da qualsivoglia ‘soluzione tecnica’. E’ vero che ci sono valide esperienze di utilizzo delle nuove tecnologie nelle nostre scuole, ma sempre rispettando il rapporto in presenza e la relazione educativa, fattori questi dai quali non si può e non si deve mai prescindere. Guai ad indicare, dunque, nella didattica a distanza, la nuova frontiera della pedagogia, come da certi umori si percepisce”.

Ritengo che una didattica a distanza in questo momento emergenziale vada fatta (anche se penso che coloro che si sono sottratti appellandosi al contratto nella maggioranza dei casi lo hanno fatto non per “evitare di lavorare a distanza” ma perché non hanno voluto accettare quella che hanno percepito, dal loro punto di vista, come una coercizione), purché non si pretenda di imporre anche le modalità e le scelte nel rispetto della libertà di insegnamento (perché… la distanza non cambia quanto disposto dalla Carta costituzionale) e scegliendo i docenti le modalità che ritengono più consone (a loro, ma soprattutto alle esigenze dei propri alunni e a quelle delle discipline che insegnano, come ho anche scritto in un precedente articolo).

Infine, accanto al timore espresso nell’ultima delle succitate lettere di introdurre in modo sistematico la didattica a distanza per rendere il docente solo un “facilitatore”, raccolgo un legittimo dubbio che da più parti viene sollevato: ma qualcuno spinge per “istituzionalizzare” la didattica a distanza, e non utilizzarla invece solo come strumento emergenziale, per  farne, finita l’emergenza, un ennesimo business?

Genitori stressati: anche molti docenti hanno figli a casa

E quando si parla in questi giorni di genitori stressati per i compiti assegnati ai propri figli (e in effetti qualche docente sta esagerando) tutti si dimenticano che anche i docenti spesso sono genitori (doppiamente stressati) di figli che ricevono dai loro prof magari caterve di compiti. Quindi, oltre a fare, come tutti, le normali attività casalinghe e fuori casa (cioè al momento di “necessità”, con file ai supermercati, al panificio, in farmacia, magari all’ufficio postale, ecc.) dovrebbero aiutare i figli a fare i compiti, una volta finite le proprie lezioni a distanza, e poi ricominciare a preparare le lezioni del giorno successivo per i propri studenti. Senza contare il fatto di dover spesso condividere con figli e magari altri familiari un unico tablet o pc, o di logorarsi dietro a collegamenti “ballerini” e a problemi di carattere tecnico.

Dunque, la parola d’ordine dovrebbe essere “buonsenso” da parte di tutti. Anche gli insegnanti hanno bisogno di serenità, per se stessi (anche loro hanno famiglie, anziani e figli di cui occuparsi) e per trasmetterla ai loro allievi. Altrimenti  a molti di loro (e in effetti non solo ai docenti) può sembrare che qualcuno voglia “inquadrarli” in una sorta di pensiero unico piramidale, in un contesto di “dirigismo” insopportabile e non accettabile.

Andrea Toscano

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