A Brescia di realtà che funzionano e che si spendono anche fuori dalle aule scolastiche ve ne sono parecchie, grazie al lavoro quotidiano di tanti insegnanti e grazie anche ad alcune buone pratiche che si sono sedimentate.
«Negli anni – afferma il dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale, come riporta Il Corriere di Brescia – è cresciuta l’attenzione per il diritto costituzionale all’istruzione e alla necessità di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
È sull’onda di questo diritto che a Brescia si ha un numero adeguato (almeno in termini numerici) di insegnanti di sostegno, che c’è una didattica dedicata per i bisogni educativi speciali o che, appunto, si è sviluppato il modello della scuola in ospedale o in carcere. «La vera didattica è quella individualizzata, quella di un vestito apposito per ogni studente: può sembrare un obiettivo utopico, magari non ci riusciremo, ma la direzione è questa ed è senz’altro positivo».
Per garantire l’istruzione e la formazione anche agli studenti costretti, per i casi della vita, a permanenze più o meno lunghe in ospedale, servono risorse dedicate.
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«Ci sono finanziamenti ad hoc per questi percorsi – scrive Il Corriere di Brescia riportando le parole del dirigente -. Un progetto significativo, che permette ai ragazzi di restare agganciati ai loro docenti e compagni di classe, evitando quindi l’isolamento».
Importanti sono anche le esperienze della scuola audiofonetica, del servizio garantito dal Centro non vedenti o gli insegnanti che da anni svolgono la loro attività in carcere, dell’educazione per adulti o le scuole serali rivolte agli studenti lavoratori.
«C’è forse un problema di offerta che non riesce a intercettare tutti i bisogni, anche se in anni recenti il professionale è stato molto rivisitato. in questo caso però, più che la scuola, credo che il problema stia in un mercato del lavoro molto in difficoltà. È difficile trovare lavoro e in tanti magari si chiedono: chi me lo fa fare di studiare. Di sicuro, se il mercato del lavoro fosse meno ingessato, avremmo meno Neet. In Germania, dove hanno tassi di occupazione molto più alti, hanno molti meno ragazzi in questa situazione».