“E’ un tunnel dove la luce non c’è mai. Non è come dice Monti, la luce in fondo al tunnel non si vede”. Antonietta è una delle centinaia di maestre che ogni mattina parte all’alba dalla Campania e non solo per raggiungere Roma, dove – forse – l’attende una giornata di lavoro. Da sette anni prende il treno delle 4,37 da Villa Literno per raggiungere la capitale in tempo per l’inizio delle lezioni. A lei, quest’anno, è andata bene: la supplenza durerà fino a giugno. Ma buona parte dell’esercito delle precarie che ogni mattina arriva a Termini non è altrettanto fortunata. Le maestre arrivano a Roma entro le 7.30, nella speranza di essere chiamate da qualche istituto. E se il telefono non squilla, si torna a casa come se nulla fosse. “Profumo, che è insegnante, dovrebbe capire le nostre difficoltà – dice Simonetta, 48 anni da Frosinone – Non ce la facciamo più, siamo stanche di fare precariato, vogliamo la nostra dignità”. Poi, uno dei suoi due telefoni sul tavolo squilla: “Mi hanno chiamata, faccio tre giorni”. Per questa volta il viaggio non è andato a vuoto
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