Dice infatti il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, citando la Germania: ”un modello e non un nemico” e sottolineato la necessità di rendere il nostro sistema più simile a quello di Berlino. Gli hanno fatto eco l’ex ministro Tiziano Treu e Filippo Taddei tra gli altri e anche Susanna Camusso ha mostrato segnali di apertura.
In Italia, sottolinea Ansa, il tasso di disoccupazione è aumentato tra il 2007 e il 2013 dal 6,1% al 12,2% (dati Eurostat) mentre in Germania è diminuito nello stesso periodo dall’8,7% al 5,3% (ma era al 10,5% nel 2004). A luglio 2014 il tasso dei senza lavoro in Germania era al 4,9%, il più basso in Europa. La diminuzione della disoccupazione tedesca è stata possibile grazie alla riforma Hartz, dal nome dell’ex consigliere d’amministrazione di Volkswagen che, sotto il governo Schroeder, diede vita fra il 2003 e il 2005 a una serie di provvedimenti sul mercato del lavoro nella Germania post-unificazione alle prese con circa cinque milioni di disoccupati. In quattro provvedimenti, la Germania ha rilanciato il suo welfare attraverso sussidi di disoccupazione universali, estesi cioè a tutti, purché’ si dimostri di essere in ricerca attiva di lavoro: i disoccupati vengono sollecitati con proposte di lavoro che, se non accettate, decurtano progressivamente l’indennità.
Oltre a buoni per la formazione, job center e agenzie interinali, Hartz ha introdotto i famosi, nel bene e nel male, ‘Minijob’, contratti di lavoro precari, poco tassati, senza diritto a pensione ne’ assicurazione sanitaria; i Midjob, contratti atipici a 400 euro massimi; i finanziamenti a microimprese autonome e un maggior sostegno per gli over-50 che perdono il lavoro.
Infine, nella ‘Hartz IV’, è stato previsto un reddito di cittadinanza anche a chi non trova lavoro dopo aver completato gli studi, con contributi per la casa, la famiglia e i figli, un’assicurazione sanitaria.
Nel mercato quindi, riporta sempre Ansa, convivono l’alta flessibilità del lavoro (su modello americano) con il modello di welfare nord-europeo (sostegno a chi dimostra di non trovare lavoro) ma con regole molto stringenti (come i lavori socialmente utili pagati un euro o un euro e mezzo l’ora per non perdere il sussidio di disoccupazione).
Un mix che ha facilitato le assunzioni portando il costo del lavoro, che era cronicamente alto, a livelli così competitivi da rendere la Germania il secondo esportatore mondiale dopo la Cina (a volte superando Pechino). Ma che hanno anche indebolito i consumi, al punto da spingere i partner Ue e persino gli Usa, con l’amministrazione Obama, a chiedere a Berlino di sostenere la domanda interna pagando di più il lavoro: una richiesta che ha trovato risposta nell’introduzione del salario minimo quest’anno, anche se c’è chi dubita sia una misura sufficiente.