Ieri sera, come da anni, serata di presentazione del mio Liceo ai genitori e ragazzi della terza media.
Come sempre, la folla, il pienone, per 500 persone circa.
Poi, i due open day a fine novembre e a dicembre e, a gennaio, nei giorni, tra l’altro, ad iscrizione già aperte (quest’anno dal 7 al 31 gennaio), il momento più importante per i ragazzi, cioè il “liceale per un giorno”, altrimenti definito “laboratori orientanti”, con i ragazzi che assistono alle lezioni, dunque al cuore vivo della scuola.
Ieri sera, mi sono permesso di esordire, presentando la mission, come si suol dire, lo stile educativo, gli indirizzi, l’organizzazione, la logistica della scuola, assieme ai responsabili di indirizzo; ho cioè riassunto il tutto con questa battuta: “la formazione non è la ciliegina sulla torta dei vostri figli e del nostro vivere sociale, ma è tutta la torta. Anche se questo non sembra, vedendo i governi pro-tempore e le discussioni e polemiche che vanno per la maggiore”.
Questa mattina ritroviamo su tutti gli organi di stampa le classifiche di Eduscopio, sulla efficacia, la posso così riassumere, dei percorsi di studio rispetto al successo universitario.
Un modo di leggere la vita delle scuole interessante, ma, mi permetto di dire, che non va assolutizzato. Quasi una forma di classifica tra scuole. Perché è solo una delle varianti, e non la più importante.
L’indagine condotta, cioè, dalla Fondazione Agnelli di Torino, ben coordinata da Andrea Gavosto, è uno strumento utile, ma non deve ingannare.
Tutti i giornali questa mattina, invece, hanno riportato le classifiche delle scuole, dando valore assoluto all’algoritmo adottato da Eduscopio. Una manna, per chi si limita a guardare dall’esterno il mondo della scuola. Mentre chi la vive dall’interno non dà, e non deve dare, troppo peso a queste comparazioni. Perché sa che è facile, se si vuole, vincere una classifica di questo tipo.
Lo stesso dicasi per l’Invalsi. Le classi, anno dopo anno, sono diverse, con tante variabili che non sono dipendenti dalla stessa scuola, per cui i confronti valgono quello che valgono, e non possono mai diventare criteri assoluti di qualità di un servizio.
Evidente, dunque, il valore relativo di queste indagini, che vanno calibrate in relazione al contesto. Perché la qualità della scuola va articolata in funzione del “valore aggiunto” del lavoro educativo e didattico.
Questo non significa, però, bocciare queste iniziative di comparazione, ma riconsiderarle per quello che sono. I confronti, cioè, sono sempre utili, ma non bisogna cedere al rischio degli equivoci che si possono ingenerare.
I dati che si ottengono, cioè, se non sono ben compresi, rischiano di confondere più che di aiutare. Il motivo è semplice: se una scuola volesse, tanto per capirci, puntare a questo tipo di risultati dovrebbe fare questo: alzare l’asticella delle valutazioni, riservandosi solo gli studenti con le medie più alte, così da ottenere le migliori statistiche.
Ma non è questa una scuola di qualità. Con classi da 20 studenti, formate solo dai cosiddetti “eccellenti”: troppo facile, troppo comodo. Non può essere questo il compito di una scuola in una società aperta, democratica, che offre strumenti di mobilità sociale.
Diverso è infatti insegnare ai bravi, difficile è dare una pari opportunità a tutti. È qui che si distingue il bravo docente, il buon lavoro di una scuola.
Il vero valore positivo è consentire a più studenti il raggiungimento di risultati magari non ottimali, ma comunque positivi. E chi potrà mai dire, un domani, che studenti a prima vista non eccellenti alle superiori, saranno invece coloro che, nella vita e nel lavoro, otterranno i migliori risultati, in termini di realizzazione personale?
Non ci sono più, oggi, cordoni ombelicali precostituiti tra la scuola ed il mondo del lavoro. Chi dice che contano più i risultati, cioè le performance, dei processi? Ci vuole dunque prudenza.
Per cui diamo pure un’occhiata, confrontiamo le scuole, come propone la Fondazione Agnelli, senza però lasciarsi ingannare dai numeri e dalle classifiche. Le quali vanno lette ed interpretate, calate cioè nel contesto della vita reale.
Resta il problema, tutto italiano, di un ente valutatore esterno, che entri davvero nel merito della vita delle scuole, ma terzo anche nei confronti del Miur e degli Usr, e non solo delle scuole.
Assegnati al Miur e agli Usr ci sono sì decine di ispettori, ma sono pochi, se non pochissimi, visto il profilo loro richiesto: oltre che titolari delle ispezioni, su richiesta dei dirigenti scolastici, si trovano a dover coordinare progetti ed iniziative in modo scoordinato, tanto da rendere, nel concreto, non significativo il loro ruolo.
In Italia, dunque, non solo non abbiamo un corpo ispettivo come si deve, ma manca, come si diceva, la terzietà, cioè l’indipendenza dallo stesso Miur e dagli Usr.