Il 31 marzo ricorrono cento anni dalla nascita di Laura Conti (1921-1993), partigiana, medico, scrittrice, divulgatrice scientifica, nota per l’impegno politico e per le numerose battaglie ambientaliste e contro il nucleare. Intransigente, appassionata, carismatica, pragmatica e, all’occorrenza, provocatoriamente polemica: dai suoi scritti, dagli articoli a lei dedicati e dalle testimonianze, la figura di Laura Conti emerge caratterialmente ben definita.
Cresce negli anni del Regime e ne scopre presto gli orizzonti ristretti. «Il fascismo diceva che la donna era il trastullo del guerriero e questo era fastidioso e volgare per tutte noi. Quando ci ammannivano questa visione del nostro ruolo eravamo a disagio, […] infastidite, imbarazzate e piene di rancore». Così Laura Conti ricorda le impressioni sue e di molte coetanee circa la percezione del ruolo femminile nel Ventennio. Da ragazzina il suo «breviario» è la biografia di Marie Curie, che le propone un modello di donna lontano da quello imposto dal Regime. Dà un contributo attivo alla lotta antifascista entrando nel Fronte della gioventù e nel luglio 1944 viene arrestata e deportata nel campo di internamento di Gries (Bolzano).
Dopo la guerra si laurea in medicina. Al lavoro affianca l’impegno politico e l’attività di scrittrice. Si occupa anche di divulgazione scientifica, soprattutto per ragazzi, ed è molto attenta alle questioni ambientali. Non si definisce scienziata ma «studiosa di problemi ecologici» e insiste sulla necessità di coniugare tale studio all’azione politica: «Non basta studiare, bisogna anche darsi da fare».
Il suo nome resta legato in particolare alla tragedia di Seveso. Il 10 luglio 1976 un guasto causa la fuoriuscita di diossina dal reattore dell’Icmesa, azienda chimica della multinazionale svizzera Givaudan. È disastro ambientale, nonostante le rassicurazioni fornite inizialmente dall’Icmesa e dalle stesse autorità. Laura Conti – allora consigliere regionale per la Lombardia – lotta contro i tentativi di ridimensionamento degli effetti della nube tossica e per l’individuazione delle responsabilità dell’incidente. Dall’esperienza nella zona più colpita nasce Visto da Seveso (1977).
Sui fatti di Seveso aveva intenzione di scrivere anche un libro di divulgazione per ragazzi, ma già in fase di ideazione l’opera prende un’altra direzione: «i ragazzi dell’area inquinata desideravano dal mondo adulto informazioni su quello che sovvertiva la propria vita, e furono messi sgarbatamente a tacere. Se vollero informazioni dovettero rubarle, origliando dietro le porte: gli adulti, infatti, avevano troppa paura di parlare della diossina, per accettare di rispondere alle domande; e avevano paura perché l’inquinamento metteva in crisi i loro valori. […] Il libro progettato cambiava natura: da libro di divulgazione, cioè educativo, diventava un libro su una particolare crisi del processo educativo». In Una lepre con la faccia di bambina (1978) attraverso Marco, che cerca di ricomporre le notizie frammentarie e contraddittorie, colte nelle risposte reticenti degli adulti o in brandelli di discorsi carpiti, la vicenda emerge gradualmente nella sua drammatica evidenza. Prendendo sempre più coscienza degli effetti della contaminazione, Marco si trova a fare i conti anche con la miseria umana dei propri genitori e con la spregiudicatezza criminale del padre mobiliere, che non si fa scrupolo di vendere rotoli di tessuto contaminato. E forse anche per la rappresentazione della piccola borghesia imprenditoriale brianzola il film con Franca Rame, tratto da Una lepre con la faccia di bambina, fu accolto da accese proteste della stampa locale.
Nel libro il dramma è colto non solo nelle sue implicazioni umane e psicologiche, ma anche in quelle religiose (la legittimazione o meno dell’aborto in caso di malformazione del feto causata dalla diossina) e sociali (la contrapposizione tra i genitori di Marco e la numerosa famiglia di Sara immigrata dal Meridione). L’autrice è attenta a riprodurre anche – ma senza frettolose forzature – l’italiano impoverito dei ragazzini protagonisti a lei ben noto grazie alla propria esperienza professionale di medico scolastico. Lo definisce un «linguaggio di sottostima» che sottostima, appunto, «emozioni e stati d’animo (l’unico vocabolo che Marco possieda per designare una situazione psicologica è “incazzatura”)».
Laura Conti è stata tra i fondatori di Legambiente. A lei sono intitolati vari circoli dell’associazione.
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