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Educare alla pace: in un mondo in guerra è sempre più difficile. Una proposta: manifestazione nelle scuole “guerra alle guerre” il 4 novembre [INTERVISTA]

Si discute molto di educazione alla pace, ma nelle ultime settimane la cronaca ha fatto riferimento anche ad attività del tutto contrastanti. Ne parliamo con Mario Maviglia, pedagogista, già dirigente tecnico e Provveditore agli Studi a Brescia.

Ultimamente sono sempre più frequenti iniziative delle Forze Armate italiane finalizzate a promuovere veri e propri progetti didattici nelle scuole o quanto meno a “orientare” gli studenti verso una occupazione nell’esercito. Cosa ne pensa?

Francamente credo che queste iniziative siano quanto meno inopportune se si considera che in tante parti del mondo, anche a noi vicine, vi è una recrudescenza dei conflitti bellici e il ricorso alle armi sembra aver soppiantato la diplomazia e il dialogo quali strumenti per risolvere le controversie tra i Paesi.

Secondo lei siamo in presenza di una deriva bellicista o addirittura guerrafondaia?

Purtroppo sì, e la cosa è tanto più inaccettabile se si considera che chi trae i maggiori vantaggi dalle imprese belliche sono i mercanti d’armi (i profitti delle aziende che producono armi sono sempre molto redditizi).

E quindi?

La risposta mi sembra scontata: a fronte di questa glorificazione della guerra e di esaltazione del militarismo di marinettiana memoria, come sembra fare l’Esercito Italiano, forse è il caso di proporre invece percorsi e modelli di pace, partendo proprio dalla scuola, la quale può far maturare nelle giovani generazioni quel “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, richiamato dall’art. 11 della nostra Costituzione.

“Insegnare la pace”, però, non è semplicissimo, cosa possono fare le scuole?

Vi sono vari modi per “insegnare” a bambini e ragazzi come adottare concezioni e comportamenti ispirati alla pace, iniziando fin dalla scuola dell’infanzia. L’organizzazione della classe come comunità, con proprie regole e forme di responsabilità diffusa, è il presupposto per far sperimentare agli studenti il senso dello stare insieme. Si tratta di concepire la classe (ma più in generale la scuola) come un organismo che si struttura in modo democratico attraverso il coinvolgimento attivo di studenti e docenti, con propri organi di partecipazione e di regolamentazione condivisa della vita della classe.

L’educazione civica potrebbe dare un contributo importante, ma certamente anche lei avrà notato che nelle Linee Guida targate Valditara la parola “pace” non compare mai.

Infatti, ed è proprio per questo che io penso che l’organizzazione della classe possa consentire un approccio molto più incisivo di tante lezioni sulla conoscenza della Costituzione. In fondo tutto il movimento delle scuole attive e della cooperazione educativa (che si ispirava ai principi della pedagogia popolare e dell’attivismo di John Dewey e Célestin Freinet) si basava su questi presupposti per formare cittadini democratici, liberi e solidali.

Con questo lei vuole dire che le lezioni e le “prediche” valgono poco?

Proprio così. Gli ordinari episodi di conflitto che sorgono tra i compagni in classe possono sollecitare l’esigenza di trovare forme accettabili per affrontare e risolvere i contrasti. Non servono le prediche o le lezioni; è più utile analizzare insieme le ragioni del conflitto e trovare delle possibili soluzioni per risolvere e magari darsi delle regole procedurali condivise per affrontare anche nel futuro queste situazioni. Vi sono inoltre delle strategie didattiche (il Debate è una di queste) che pongono gli studenti in una particolare posizione che consiste nel difendere idee che non si condividono per convincere altri studenti che a loro volta giocano il medesimo ruolo. Sono interessanti forme di decentramento cognitivo e relazionale che mirano a far sperimentare e consolidare forme di empatia verso gli altri, a comprendere le loro motivazioni, a ricercare modalità condivise di convivenza democratica.

Agli alti gradi dell’Esercito italiano lei cosa suggerirebbe?

E’ semplice: lascino stare le armi e propongano ai giovani di tutte le età esempi di servizio civile. Non mancano esperienze in questo campo: dalla cura dell’ambiente, alla cura degli animali, dal rendersi utile verso chi ha difficoltà a cercare di inserire nella comunità chi è diverso o isolato. Organizzino inoltre dei momenti di conoscenza e approfondimento delle personalità che si sono distinte per il loro impegno per la pace e il dialogo tra le persone e i popoli (come quelle citate sopra a titolo esemplificativo).

Ha un’idea da proporre alle scuole?

E alle scuole proponiamo di organizzare ogni anno un appuntamento simbolico dal titolo “guerra alla guerra”: in uno spazio pubblico della città o del paese (con le dovute autorizzazioni, non sia mai …) gli studenti preparano un falò con armi-giocattolo bellici di tutte le fogge di cartone, precedentemente costruiti in classe o a casa. L’esecuzione di canti contro la guerra (scelti dagli studenti) potrebbe costituire un degno abbellimento dell’evento. Il 4 novembre potrebbe essere, simbolicamente, la data più indicata per questa festa della pace, ossia la festa della vita contro la cultura della morte, di cui la guerra è l’emblema.

Reginaldo Palermo

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