In essa il Ministro per i Beni e le Attività Culturali diceva testualmente che “Bisogna tornare a studiare la Storia dell’Arte nelle scuole. È incredibile – ha aggiunto – che in un Paese come il nostro questa materia sia ridotta a pochissime ore di lezione nei licei classici e sia ridotta a pochissime ore in molti indirizzi scolastici. Ho già parlato – ha concluso – con i vertici del Ministero della Pubblica Istruzione e credo ci siano possibilità per dare un seguito alla mia proposta”.
È paradossale che sia questa la situazione in cui si trova l’insegnamento della Storia dell’Arte nella scuola italiana visto pure il peso che ad essa danno gli studiosi stranieri attratti come sono dal ricchissimo patrimonio artistico italiano, uno dei più completi del mondo.
Dietro l’odierna disattenzione della scuola italiana verso la Storia dell’Arte ci sono molti motivi, non ultimo la scarsa considerazione in cui è stato da sempre tenuto il relativo insegnamento a partire dalla sottovalutazione dell’idealismo.
Né si può dire che abbia contribuito a decondizionare la precaria situazione la tanto esaltata riforma Moratti – oggi per fortuna in tanti punti congelata – la quale di fatto ha dato il colpo di grazia a questo insegnamento, per il peso che si era illusa di poter dare alle discipline scientifiche e, soprattutto, a quelle che più di altre potevano contribuire a conformare la scuola ai modelli aziendali ed imprenditoriali.
Il ministro Rutelli, nella sua intervista, dicendo che un ragazzo di Spello deve essere in grado di leggere la Piazza di Spello, come un ragazzo calabrese deve saper sentire il respiro della Magna Grecia, ha dimostrato di capire ciò che gli addetti, i veri addetti di cose di scuole, l’intellighenzia politico-scolastica, ancora non hanno saputo o voluto capire. Il riferimento è, infatti, al curricolo regionale di cui parla l’art. 2 della legge 53/2003 colà dove si dice che una parte dei piani di studio – leggasi curricoli – personalizzati deve tener conto degli “interessi della regione”.
La verità è che l’approccio alla Storia dell’Arte dovrebbe aver inizio già dai primi gradi dell’istruzione, dalla scuola primaria, insomma, da quell’età in cui a saper cogliere i momenti ottimali, per dirla con Bruner, i bambini se adeguatamente guidati da insegnanti esperti, con sussidi appropriati e tempi idonei, possono essere avvicinati a qualsiasi disciplina anche a quelle, come la filosofia, fino a qualche anno addietro ritenute approcciabili solo in età maggiore.
Le più moderne teorie psico-didattiche, del resto, ci hanno messo a disposizione in più di una circostanza mezzi e strumenti capaci di riconvertire il ruolo e la funzione di tante discipline in passato ritenute lontane dei primi gradi dell’istruzione.
Ciò che conta, tuttavia, è che venga abbandonata l’idea di Storia dell’Arte come fredda materia d’insegnamento, solo costituita da un cumulo di nozioni che l’alunno deve metabolizzare grazie all’azione dell’insegnamento, e finalmente si faccia posto alla riconversione della disciplina con un suo statuto epistemologico, con una sua vera e proprio prospettiva scientifica.
Non si tratterà, in altri termini, di insegnare nozioni e contenuti di Storia dell’Arte, ma piuttosto di sviluppare nei ragazzi dei primi gradi della scuola, il gusto e il piacere dell’arte, di abituarli a saper leggere l’architettura, la scultura, la pittura ecc. nelle loro espressioni e manifestazioni emotive. In una parola, a gustare l’arte nelle sue suggestioni e nelle sue sensibilità.
L’Arte prima di essere Storia è sensibilità, è piacere, è gioia. E’ capacità di sentire ciò che emana l’osservazione di un paesaggio, di estasiarsi dinanzi ad un quadro, ad una scultura, un reperto archeologico ecc.
In questo senso fare Storia dell’Arte a scuola, fin da quella primaria, per non dire da quella dell’infanzia, significa educare all’arte. Questa, in definitiva, è uno dei linguaggi con cui l’individuo si rapporta alla realtà circostante. La scuola è, perciò, chiamata a formare i giovani di oggi anche educando all’arte.