Ieri, 22 novembre, è stato presentato il piano Educare alle relazioni, il progetto del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara che cercherà di arginare i fenomeni legati alla violenza di genere partendo dai banchi di scuola.
Ecco le parole di Valditara: “Questo progetto prende l’avvio non dai recenti fatti di cronaca, ma prende le mosse dagli eventi della scorsa estate, come lo stupro di Palermo e Caivano. E prende le mosse dalla mia volontà di dire basta ai residui di cultura maschilista. Il fatto che la donna debba subire quotidianamente vessazioni è inaccettabile. Proprio per questo mi è venuta in mente l’idea di creare gruppi di discussione nelle scuole. La scuola si occupa del fenomeno culturale, il maschilismo ancora imperante che si manifesta in tante situazioni della vita quotidiana, basta pensare agli apprezzamenti non voluti per strada”.
“I docenti svolgeranno la funzione di moderatori. I moduli di discussione saranno di trenta ore. I gruppi potranno essere supportati da esperti qualificati. Ho firmato un’apposita direttiva ministeriale. Ogni scuola avrà un docente referente. Ogni classe avrà un docente moderatore. Il progetto si svolgerà in orario extracurriculare perché avremmo altrimenti dovuto togliere ore a materie curriculari. Nelle ore curriculari c’è l’ora di educazione civica. Il progetto parte con adesione facoltative delle scuole, dopo la sperimentazione capiremo se renderla obbligatoria. Provvisoriamente il progetto nasce solo nelle scuole superiori”, ha spiegato Valditara.
Il progetto non è stato convincente per molti, tra cui la scrittrice e docente Stefania Auci. Quest’ultima, intervenuta a Metropolis, ai microfoni de La Repubblica, ha detto: “Trenta ore al di fuori del tempo della scuola sono oggettivamente poche. L’aspetto della volontarietà è pericoloso. Nel 90% dei casi i ragazzi non sono in grado di seguire attività extracurriculari. Come si fa con chi fa settimana corta e esce alle due o alle tre del pomeriggio? Molto spesso chi fa Pcto il giorno dopo non viene interrogato dai docenti”.
“Se un corso del genere si deve fare deve essere obbligatorio e deve essere prevista una modalità di scarico. Questo corso sarà fatto magari da coloro che sono più consapevoli. I docenti diventano psicologi, assistenti sociali, anche genitori in certi momenti. Ma non tutti sono preparati e lucidi per affrontare queste tematiche delicate. La presenza di un terapista, di uno psicologo è fondamentale”.
“Ci troviamo in una fase in cui il maschio sta vivendo uno scollamento con i loro modelli da ‘uomo che non deve chiedere mai’ e il mondo che sta cambiando. Le ragazze adolescenti sono più mature e più consapevoli dei loro compagni, che usano l’arma dell’insulto, della prepotenza, della spinta per rimettere la ragazza al loro posto a modo loro. Le ragazze sono più avanti rispetto ai coetanei. I maschi stanno sperimentando con fatica. I maschi si sentono di doversi affermare in quanto sessualmente capaci, e qui dovremmo parlare del tema della fruizione del porno. Anche le ragazze guardano i porno, ma capiscono che è film, che non è vero. I ragazzi si appigliano, visto che hanno degli ego molto fragili, a questo”, ha concluso.
L’impressione che si ha in questo momento è che di fronte ad un problema così complesso il Ministero stia pensando ad una soluzione sostanzialmente “burocratica” per “offrire” alle scuole un “pacchetto” di incontri con docenti ed esperti.
Intervistata dal Corriere, Daniela Lucangeli, docente di psicologia dell’educazione e dello sviluppo all’Università di Padova, mostra di non apprezzare troppo l’iniziativa: nella relazione educativa – sostiene in sintesi Lucangeli – la dimensione affettiva è fondamentale e per gestirla correttamente ci vogliono docenti formati bene in questo ambito.
Non basta – dice la docente – un insegnante che arriva in classe con quattro schede sulle emozioni anche perché le emozioni non si descrivono, ma si devono vivere.
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