Marco Radaelli, docente di Storia e filosofia, pubblica, per Tau Editrice, “Educare insegnando. Ciascuno darà frutto secondo la propria specie”, 18,00.
Libro, come il titolo steso recita, incentrato sulla scuola e sulla esperienza didattica in un Liceo del prof Radaelli che ne approfitta per fare una disamina della vita quotidiano di un docente a contatto coi suoi alunni e con le inevitabili contraddizioni che ne escono, perfino sugli interrogativi più semplici: perché alzarsi quando l’insegnate entra in classe? perché studiare? perché assegnare i compiti a casa? perché il dialogo coi genitori?
E da domande simili, escono risposte che investono tutta l’impalcatura scolastica, mentre sorgono altri interrogativi a cui il prof risponde, o almeno tenta di rispondere, secondo un suo punto di vista che poi sembra focalizzato negli studi filosofici, compreso sant’Agostino e Platone, e di didattica che non si limita di citare, anche in epigrafe, per ciascun capitolo e in ogni occasione che lo richiede.
E allora: cosa c’entra la scuola con la felicità? Qual è lo scopo della scuola? Che frutti possono emergere da un lavoro ben fatto? Che rapporto può nascere tra docenti e studenti quando ciascuno svolge con serietà il proprio lavoro?
Anche perché uno dei tantissimi puti affrontati è proprio questo: il lavoro è il lavoro, e ciascun lavoro va fatto bene. Non ci sono dubbi, spiega Radaelli. E dunque anche quello scolastico, sia del prof, sia dei ragazzi a cui bisogna dare l’esempio.
Ma spiega pure che è stato allievo dei suoi alunni, perché tanto ha appreso da loro e così tanto da dedicare proprio ad essi il suo lavoro, il suo libro e con parole che segnalano una tensione umana ammirevole.
Singolare è anche un’altra osservazione che il prof fa, come del resto dicono coloro che si occupano di scuola a un certo livello: come nel calcio tutti si sentono allenatori per avere giocato qualche partita nella adolescenza, così in riferimento alla scuola, avendola tutti frequentata, si sente ciascuno in grado di dire la sua, diventando così educatore, pedagogiste, docente, preside, psicologo…
Anche questa presunzione nazionale spiegherebbe il motivo per il quale tanti genitori entrano, anche con atteggiamenti violenti e aggressivi, nel merito di questioni disciplinarti, educativi, didattici, dentro cui prima nessuno vi entrava, lasciandoli di competenza a chi si è formato per quel mestiere.
E da qui alla politica il passaggio è breve, alla sua inefficienza e spesso al mancato coordinamento con la pratica sui banchi.
Un libro insomma nel quale tutte le problematiche più intime della scuola, della istruzione e del suo fine educativo, quelle più dibattute e elaborate, vengono messe sul piatto del dibattito e della discussione ma per arrivare a quale obiettivo? Migliorare la scuola? Impresa titanica ma possibile, forse.
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