Proponiamo alcune riflessioni sviluppate durante l’incontro del nostro gruppo con il dottor Alessandro Zammarelli (psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista SIPre – Società italiana di psicoanalisi della relazione) su educazione all’affettività, facilitatori delle emozioni e simili.
Per l’educazione affettiva degli studenti la scuola fa già tanto: offre un contenimento rassicurante, grazie a un contesto di regole sensate che protegge dalla confusione che i giovanissimi sentono dentro di sé e dà loro modo di pensare con più calma; permette di vivere quotidianamente la socialità, le amicizie, le relazioni che crescono con il tempo e di sperimentare i sentimenti nel gruppo dei pari e nel rapporto con gli adulti; propone conoscenze e contenuti – le storie e i racconti, ad esempio – che hanno molto a che fare con le emozioni e gli affetti.
Per altri tipi di intervento ci vogliono professionisti preparati, non “facilitatori”, “orientatori”, “esperti” del tutto improvvisati di questioni che toccano nodi interiori delicatissimi, che devono essere conosciuti molto bene prima che ci si permetta qualunque intervento su di essi: non si gioca da apprendisti stregoni con le emozioni delle persone in crescita senza conoscerne minimamente la natura, l’origine, la profondità anche dolorosa e senza sapere davvero cosa si sta facendo, con una consapevolezza che richiede anni o decenni di studi psicologici, di esperienza personale, di lavoro con i pazienti.
D’altra parte il modo eventualmente distorto di vivere l’affettività, che deriva dall’intera storia di una persona e dalle relazioni che ha vissuto dalla primissima infanzia, non si cambia con quattro precetti astratti impartiti dall’esterno ma rendendo emotivamente consapevole quella persona, con i tempi lunghi che ci vogliono, dei sentimenti negativi soprattutto inconsci – rabbia, abbandono, invidia, frustrazione – che ha provato nel corso di quella storia. È un percorso che richiede un’enorme cautela, uno spazio adeguato, una professionalità specifica. Di questa professionalità è parte l’aver fatto chiarezza nelle proprie dinamiche interiori, con adeguati strumenti analitici, in modo da evitare l’inevitabile proiezione di queste dinamiche sulle persone che si hanno di fronte.
Invece una volta che giochi a fare il facilitatore e incautamente “tiri fuori l’emozione” di uno studente, a sproposito e in modo del tutto sbagliato, poi cosa ne fai? E soprattutto cosa ne farà lo studente? La elaborerà con qualcuno oppure sarà confuso e spaventato e si disregolerà? È un punto fondamentale, che non può essere preso alla leggera.
Gruppo La nostra scuola
Associazione Agorà 33