Da anni nelle scuole italiane si (stra)parla di educazione alla salute. Sorprende allora il fatto che in pieno 2022 — nel bel mezzo di un’ondata di calore pressoché ininterrotta, che imperversa dal Mediterraneo all’Artico dalla metà di maggio — nessuno parli o scriva sulla necessità d’informare gli studenti (e i lavoratori della Scuola!) circa l’impatto sulla salute umana della crisi climatica in atto. C’è forse chi non gradirebbe un’opinione pubblica conscia (finalmente) del pericolo? Non possiamo crederlo, in un momento in cui persino l’ENI (uno dei massimi gestori di combustibili fossili, responsabili in larghissima parte del surriscaldamento globale), impartisce ai docenti istruzioni sull’ecologia e sullo sviluppo ecosostenibile!
Sul sito del Ministero di Viale Trastevere si danno precise indicazioni circa il fattivo impegno che il medesimo dicastero profonde «per tutelare il diritto alla salute, sensibilizzare sui temi della prevenzione e promuovere corretti stili di vita». Eppure la questione ambientale resta sullo sfondo. Anche se — riferisce l’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) — «I decessi dovuti a tumori maligni sono stati, secondo l’ISTAT, quasi 179.091 nell’anno 2017 (99.591 fra gli uomini e 79.500 fra le donne)». E sebbene si sappia che il 10% di questi tumori è dovuto all’inquinamento, il quale è responsabile anche di altre malattie gravissime: ictus, infarti, patologie respiratorie, scompensi cardiaci, fibrillazione atriale, tromboembolismo venoso, aterosclerosi, infezioni, allergie, tumori, bronchiti croniche, asma, fibrosi polmonare idiopatica (e persino, probabilmente, tumore del seno).
A tutto ciò si aggiungono gli effetti sulla salute (anche giovanile) del progressivo innalzamento delle temperature, particolarmente evidente in Italia e in tutta la fascia climatica (ex) temperata. Lo prova un rapporto dell’IIPH (Italian Institute for Planetary Health), “consorzio nato nel 2019 dalla collaborazione tra l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS e l’Università Cattolica del Sacro Cuore”.
Nel rapporto, dedicato all’impatto del global warming sulla salute con particolare riferimento allo scenario italiano, si esaminano persino gli effetti del cambiamento sulla salute mentale (tema particolarmente rilevante in età scolare). Pochi sanno che la siccità ha aumentato i casi di suicidio tra gli agricoltori. Le conseguenze più gravi, infatti, come sempre, ricadono sulle classi meno agiate (e meno in grado di difendersi dal caldo) e su chi ha problemi psicologici: anche perché spesso tali soggetti usano farmaci (come taluni antidepressivi) che interferiscono con la termoregolazione dell’organismo, portando al decesso per ipertermia, disidratazione, colpo di calore.
Il caldo eccessivo accresce poi violenza e aggressività, instabilità e criminalità, riducendo la coesione sociale specie in zone e quartieri più svantaggiati economicamente, verso i quali si orientano — peraltro — i flussi migratori provenienti da aree del globo già distrutte dal disastro climatico.
Si stanno diffondendo stati psicoterratici (ossia legati alla distorsione della relazione con la natura) che prima erano rarissimi: ecoansia, solastalgia, eco-paralisi (malesseri dovuti alla consapevolezza della distruzione dell’ambiente). Stati patologici di tristezza e disorientamento — si badi bene — che non colpiscono i “matti”, ma le persone più coscienti, informate, intelligenti e sensibili, non aduse a coltivare la politica dello struzzo (che tanto gratifica i più).
Salute psichica a parte, le ondate di calore minacciano in primis la salute fisica. Disidratazione, ischemia, malessere, aggravamento delle malattie croniche, fino alla morte: eccone le conseguenze più gravi, in un Paese che da due anni e mezzo si preoccupa unicamente di CoViD-19, mascherine e vaccini. A Roma durante le ondate di calore muore il 22% di ultracinquantenni in più rispetto ai periodi estivi normali. Ma questo i TG non lo ripetono a tutte le ore, come fanno invece — legittimamente — per i morti di CoViD. Forse a qualcuno non fa piacere che ci si preoccupi del disastro ambientale?
Eppure, il numero delle vittime dei disastri climatici nell’ultimo mezzo secolo, nella sola Europa, è spaventoso: 55.736 uccisi dalle temperature estreme; 58.700 vittime di inondazioni; 577.232 morti per tempeste; 650.000 sterminati dalla siccità. Un totale di quasi un milione e mezzo, con una media di almeno 26.000 decessi l’anno. E bisognerebbe aggiungere le vittime di malattie trasmesse da zanzare, zecche, pulci, pidocchi, cimici, in progressivo aumento con l’arrivo e il moltiplicarsi di specie alloctone.
Dati riscontrabili non solo nel rapporto IIPH citato, ma anche sul sito ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile).
Si può ignorare tutto ciò nella Scuola, frequentata attualmente dalla generazione che più sarà colpita dalla crisi climatica (estremo regalo del nostro modello di sviluppo)? È meglio non toccare l’argomento, o preparare le giovani generazioni al cambiamento, informandole correttamente su quando sta accadendo e su ciò che va fatto (e che gli stati non fanno) per mitigare il clima e adattarsi al cambiamento nei secoli futuri?
Come scrive l’ASVIS (sulla scorta degli studi IPCC), «non c’è più spazio per le mezze misure», perché «a rischio è la vita di miliardi di persone»: in poche parole, della specie umana stessa.
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