La lettura delle nuove Linee Guida sulla educazione civica sta suscitando, e non solo nel mondo della scuola, un dibattito di grande interesse.
E questo, al di là di come e quanto le scuole recepiranno le nuove “indicazioni”, ci sembra di particolare utilità: il confronto e il dibattito sui grandi temi presenti nel documento non può che essere un benefico esercizio di democrazia e di confronto.
Così come, peraltro, è sempre accaduto quando intellettuali e opinione pubblica si sono confrontati su questioni significative relative al “senso” del fare scuola.
Alle volte è capitato persino che nei testi normativi riguardanti i programmi scolastici siano stati anticipati di molti decenni temi che, in quel momento, potevano sembravano collaterali.
“Nella nuova scuola elementare italiana – si legge per esempio nei Programmi per la scuola elementare del 1945 – dovranno dominare un vivo sentimento di fraternità umana che superi l’angusto limite dei nazionalismi, una serena volontà di lavorare e di servire il Paese con onestà di propositi”.
E nel capitolo sulla educazione morale e civile (l’antenata della attuale educazione civica) stava scritto: “I soli precetti, le conversazioni e le letture non bastano a formare la volontà morale, perché se possono indicare la via migliore da seguire, restano pur sempre nel campo dell’astrazione. Ha somma importanza, invece, l’esercizio costante e illuminato della azione, guidata dall’esempio vivente del maestro”.
Ma non solo: “La scuola, ordinata secondo il sistema razionale della libertà disciplinata, deve svegliare nei fanciulli il senso individuale della responsabilità e destare in essi il bisogno dell’ordine, del rispetto, dell’aiuto reciproco: in breve, delle virtu’ civili, sociali e morali. Sarà per questo utilissimo promuovere la spontanea e diretta collaborazione degli scolari nel governo della classe, affidando a gruppi, scelti preferibilmente dagli stessi discepoli, incarichi speciali di pulizia, di ordine e di organizzazione, o lasciando la scolaresca libera di prendere decisioni in merito, anche attraverso le forme del referendum e della vera e propria iniziativa (per esempio: proporre l’attuazione di un particolare lavoro scolastico)”.
L’idea era che la scuola deve essere essa stessa vita e non soltanto preparazione alla vita sociale: “Si prepari il fanciullo a tali forme elementari di autogoverno, addestrandolo alla comprensione dei propri doveri e diritti, in rapporto alle finalità del gruppo a cui appartiene. Sarà così possibile indurlo ad agire non in base a ordini, ma in forza di un convincimento di natura sociale. Solo così i concetti di bene e di male, di giusto e d’ingiusto avranno rilievo e importanza e la sua condotta assumerà un significato etico. Il rispetto della cosa pubblica dovrà scaturire non tanto da divieti e da minacce, quanto dalla riflessione sui vantaggi che derivano dal vivere in comune”.
Tale impostazione era stata espressamente voluta dall’ideatore di quei programmi, il pedagogista statunitense Carleton Whasburne che si ispirava al pensiero di John Dewey e che era stato inviato in Italia dal Governo americano dopo l’armistizio dell’8 settembre, come alto ufficiale delle truppe alleate.
E non può non far riflettere anche questo passaggio molto significativo di quei programmi: “Dall’osservazione delle forme di vita amministrativa locale egli salirà gradatamente, per analogia, a quelle provinciali e nazionali di più vasto raggio e sarà indotto a considerare i rapporti di solidarietà o di collaborazione tra i popoli, valicando con animo sempre più ampio, sereno e scevro da preconcetti di gretto nazionalismo, i confini del proprio Paese”.
I programmi erano stati firmati da Whasburne già nel febbraio del 1945 quando il Paese non era ancora del tutto libero e diventarono legge con un decreto luogotenenziale del 24 maggio successivo pubblicato poi nella Gazzetta Ufficiale del 21 agosto. Non si tratta quindi di una legge della Repubblica italiana tanto che risulta firmato dal Re Umberto di Savoia, dal ministro dell’Istruzione Arangio Ruiz e dal Ministro Guardasigilli Palmiro Togliatti.
E desta certamente stupore che in un testo normativo di 80 anni fa si parli esplicitamente della collaborazione fra i popoli, del superamento di ogni forma di gretto nazionalismo e di forme di autogoverno degli alunni.
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