«Non sei recluso. Lo sono i pazzi o sciocchi che ti dichiarano infermo e ti tengono prigioniero perché hai una coscienza». Parole d’un testo fondamentale per la crescita dei nostri giovani: “L’ultima vittima di Hiroshima”, di Günther Anders; da inserire nel curricolo di educazione civica, per le domande che pone e spinge a porsi.
Edita nel 1961, l’opera contiene il carteggio tra Anders, insigne filosofo tedesco (1902-1992), e Claude Eatherly, comandante dell’aereo donde partì l’ordine di sganciare la bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto 1945.
Benché pluridecorato già prima del ‘45, Eatherly (1918-1978), che quel 6 agosto aveva 26 anni, fu l’unico dell’equipaggio a provare angoscia per aver partecipato alla missione che arse vive 200.000 innocenti vittime civili. Abbandonò la promettente carriera militare che l’attendeva; rifiutò (violando la legge) un vitalizio di 237 dollari mensili, che donò alle vedove dei caduti. Tormentato dagli incubi, tentò il suicidio nel 1950. Commise piccoli reati per espiare la propria colpa in carcere ma, ritenuto pazzo, fu chiuso in manicomio.
Nessun altro oltre lui si vergognava della nomea di “eroe di guerra”: anche se quel bombardamento atomico aveva aperto l’epoca del rischio di apocalisse nucleare (e/o ambientale) cui l’umanità è da allora condannata. Gli altri membri dell’equipaggio del bombardiere Enola Gay continuarono a far gli eroi. Eatherly, dichiarato matto, fu internato per anni. Seguì un nuovo tentativo di suicidio, il divorzio ottenuto dalla consorte, l’orrore ossessivo per ciò che aveva fatto a Hiroshima.
Anders, conosciutone il caso, scrisse ad Eatherly nel 1959 una lettera, cui il pilota rispose avviando un pluriennale scambio di missive, piene di spunti essenziali per insegnare educazione civica. Anders convinse Eatherly a diventare uno dei principali esponenti del movimento antimilitarista e antinucleare mondiale, chiedendo perdono alle vittime giapponesi e facendosi paladino della messa al bando dell’arma atomica.
Anders confronta Eatherly e Adolf Eichmann (1906-1962): il criminale nazista che, proprio mentre Anders e Eatherly si scrivevano, era processato e condannato morte per la sua meticolosa pianificazione dello sterminio di Ebrei, Rom, omosessuali, disabili, oppositori politici: “lavoro” che lo stesso Eichmann aveva giustificato come mera “obbedienza agli ordini”, rappresentandosi quale semplice “rotella nell’ingranaggio del terrore”, senza mostrar sofferenza. Scrive Anders che la sua partecipazione «alle conferenze in cui gli organizzatori del terrore discutevano, fra un bicchierino di cognac e l’altro, delle misure più adatte allo sterminio di milioni di uomini», dimostra l’inconsistenza della sua autodifesa. Le sue argomentazioni «sono identiche agli argomenti adoperati oggi da ciascuno di noi: dagli operai che fabbricano missili, dagli scienziati che sperimentano la guerra chimica; argomenti identici a quelli somministrati ogni giorno, come tranquillanti, per addormentare la nostra coscienza».
D’altronde oggi, anche nei Paesi “democratici”, chi non accetti ordini ingiusti e contrari alla coscienza, scrive Anders, «È considerato infido e traditore. Oppure pazzo». E ad Eatherly dichiara: «Tu sei la grande controfigura che ci può consolare in questo orrore. Quando eseguisti l’incarico affidatoti, come rotella nell’ingranaggio, non sapevi cosa facevi. Ma, visto quel che avevi fatto, sei balzato in piedi e hai gridato “no”. E a partire da quel primo “no” non c’è stato più giorno in cui tu ti sia rimangiato quella parola. Non hai cercato di scagionarti con la frase: “Ero solo una rotella nell’ingranaggio, e quindi non sono colpevole”, ma hai detto invece: “Se, in quanto semplici rotelle, possiamo diventare così paurosamente colpevoli, allora dobbiamo rifiutarci di funger da rotella in questo senso”. Ecco perché, secondo il filosofo, Eatherly è “la grande antitesi” di Eichmann.
È basilare educare i ragazzi a chiedersi sempre se il proprio ruolo nella società sia coerente coi propri princìpi e la propria coscienza. È sempre stato basilare (come prova l’Antigone di Sofocle), e lo è ancor più oggi. Oggi la tecnologia consente alle nostre azioni conseguenze che la mente non sa nemmeno immaginare. Oggi premere un tasto può significare sterminare milioni d’anime in un colpo solo. Oggi accettare ordini senza protestare — come rotelle d’una macchina — può comportare la fine di un mondo, del nostro mondo. La mente umana non può concepire, oggi, le conseguenze del tecnicamente possibile. La tecnica ha permesso, con la nostra acquiescenza, di cambiare la composizione chimica dell’atmosfera, alterando il clima fino alla possibile morte della civiltà (e forse della specie). Permetterà, se lo accetteremo, di trasformare la Scuola in centro di addestramento eterodiretto, finalizzato al profitto di pochi e alla trasmutazione dei più in rotelle destinate alla perpetuazione della stessa macchina cieca per cui lavorano.
Se dunque l’obbedienza acritica è stato sempre un disvalore, lo è ancor più oggi, nell’era della tecnicizzazione dell’esistenza. Uno spunto di riflessione che è urgente fornire ai nostri studenti, se vogliamo un mondo più umano.
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