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Educazione civica, come parlare di sostenibilità ambientale senza fare confusione? Il film “Antropocene”

Se vogliamo far capire ai nostri alunni gli effetti del nostro modello di sviluppo sull’ecosistema globale, c’è almeno un film — tra i tanti sull’argomento — che può fare al caso nostro: “Antropocene – L’epoca umana”, documentario canadese del 2018, opera dei registi Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky (noto artista e fotografo) e Nicholas de Pencier. Il film è attualmente disponibile su RaiPlay.

Nell’Italia di oggi è molto più facile sentire sciocchezze sull’ambiente da un adulto che non da un adolescente. È notevole l’interesse con cui molti alunni del primo anno delle superiori parlano del surriscaldamento globale e dei rischi ecologici del nostro tempo.

Questo film ha il potere di avvincere l’attenzione dei giovanissimi, tra i quali quelli sensibilizzati sul tema ecologico sono molto più numerosi — pur non essendo forse maggioranza — di quanto noi adulti immaginiamo. Fatto sicuramente positivo, tra i tanti negativi riguardanti i ragazzi d’oggi.

Se il solo homo sapiens cambia il destino del pianeta

Il film, di grande impatto visivo, parla per immagini. Immagini di una forza talmente eloquente da far toccare con mano una realtà indubitabile: negli ultimi 250 anni (ma ancor più nell’ultimo trentennio) la specie umana ha provocato drastici mutamenti nell’evoluzione naturale del pianeta, alterandone gli equilibri al punto da provocare la sesta estinzione di massa e l’innalzamento repentino dei quantitativi atmosferici di gas serra (e della temperatura atmosferica media) a livelli mai raggiunti prima negli ultimi 50 milioni di anni: con risultati solo in parte prevedibili, e comunque catastrofici, dei quali stiamo vedendo solo gli inizi.

Un modello di sviluppo che taglia il ramo su cui stiamo seduti

Di qui il nome del film, ispirato alla denominazione che svariati studiosi hanno proposto per l’era geologica che stiamo vivendo, e che vede la nostra specie capace di modificare i naturali processi geologici, climatici, territoriali, strutturali del pianeta.

Il film mostra decine di catastrofi naturali contemporanee. Tra di esse, la rovina totale delle Alpi Apuane per estrarne quantità inimmaginabili di marmo pregiato: gran parte del quale trasformato in carbonato di calcio. Eppure sarebbe facile produrre gli stessi quantitativi di questo sale dai tantissimi scarti dell’industria alimentare di origine zoologica: carapaci di crostacei, chiocciole e ossi animali.

L’industria estrattiva, coi suoi potenti escavatori meccanici, fa oggi in 24 ore quel che mezzo secolo fa si faceva in 20 giorni.

Un giardino divenuto inferno

Le impressionanti immagini delle acciaierie siberiane, capaci di liberare potenze ignee paragonabili a quelle di un vulcano, mostrano la potenza di un sistema produttivo che dalla rivoluzione industriale del ‘700 ha stravolto la faccia del mondo.

Le immense ruote dentate delle escavatrici che sbranano intere colline di una miniera tedesca si innalzano per molte decine di metri tra la nebbia: scenario infernale degno di quello dipinto da Hieronymus Bosch nel trittico del “Giardino delle delizie”.

La distopia di un mondo disumanizzato

L’impressione di vivere in un mondo distopico e disumanizzato si consolida vedendo quanto accade a Lagos, in Nigeria: dove migliaia di lavoratori schiavizzati partecipano alla distruzione delle proprie foreste per lo sfruttamento del legname pregiato, mentre intorno la città affoga nel traffico. La popolazione di Lagos in 50 anni è infatti passata da 200.000 a 20 milioni di abitanti, immenso formicaio (dis)umano.

Intanto l’innalzarsi delle temperature sbianca e uccide le barriere coralline, che da 450 milioni di anni ospitano un quarto della vita marina. La loro scomparsa suonerebbe la campana a morto per l’intero ecosistema oceanico mondiale, annullando le riserve ittiche e alterando irreversibilmente l’intera biosfera. Intanto il livello dei mari cresce, distruggendo le zone costiere dell’intero pianeta, mentre si moltiplicano siccità, inondazioni, tornado, anche in regioni prima temperate: come l’Italia, il cui clima mite è un ricordo ormai lontano, che i giovani non hanno mai conosciuto.

Il riscaldamento globale è un’evidenza scientifica già da 70 anni

Già, i giovani: sono loro che erediteranno la Terra, di cui la nostra generazione (nell’interesse esclusivo di una ristretta minoranza) sta irreversibilmente compromettendo la vivibilità. Le conseguenze negative del nostro modello di sviluppo sono note da un secolo e mezzo: tanto è vero che già il geologo Antonio Stoppani, nel 1873, paragonò l’azione umana una forza tellurica e propose di chiamare la nostra era geologica “antropozoica”. Fin dagli inizi dell’800 si conosce il legame tra CO2 e temperatura atmosferica: tant’è che l’espressione “effetto serra” fu coniata dal matematico e fisico francese Jean Baptiste Joseph Fourier (1768-1830) e poi correttamente spiegata e sperimentata dalla scienziata Eunice Newton Foote (1819-1888). Quanto oggi sta avvenendo era stato previsto nel dettaglio e nei tempi dagli scienziati fin dagli anni ‘50 del ‘900.

Non possiamo misconoscere che il vino dell’oste è veleno

Eppure ci tocca ancora sentire l’oste (i petrolieri) vantare le doti del proprio vino (i combustibili fossili). Pochi giorni fa il sultano degli Emirati Arabi Al Jaber, presidente della “COP 28”, negando del tutto le inconfutabili prove scientifiche del nesso tra riscaldamento globale e combustibili fossili, ha sostenuto che abbandonare questi ultimi significherebbe “riportare il mondo nelle caverne”.

Ma noi adulti (specialmente se docenti) non possiamo esser complici di chi semina confusione su questi argomenti per miliardari interessi personali. Perciò è utile e giusto che l’ora di educazione civica sia usata anche per sensibilizzare gli studenti su questi temi, che sempre più riguarderanno la loro vita quotidiana negli anni a venire.

Alvaro Belardinelli

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