Perché educare alla riduzione degli sprechi e all’economia circolare a scuola? Non solo per l’ovvia ragione di fare del bene al nostro ambiente, ma anche in ottica occupazionale: secondo gli studi dell’Unione Europea, infatti, grazie all’economia circolare potrebbero esserci 700mila nuovi posti di lavoro entro il 2030. I nostri studenti di oggi potrebbero essere gli occupati del futuro in questo settore.
“L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo – si legge sul sito del Parlamento Europeo – si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore”.
I principi dell’economia circolare contrastano con quello che è considerato il tradizionale modello economico lineare, fondato invece sul tipico schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare” e strettamente connesso alla disponibilità di grandi quantità di materiali e energia facilmente reperibili e a basso prezzo.
Un altro approccio per comprendere l’economia circolare potrebbe prendere a prestito alcune sigle, come la crisi delle “3 e” (economica, ecologica ed etica), ci spiega l’esperto Matteo Bernardelli (il suo articolo integrale questo LINK), a vantaggio delle cosiddette “4 r”: Risparmio delle materie prime, Riuso dei prodotti, Riciclo degli oggetti e Recupero dell’energia contenuta negli oggetti.
Ascolta “L’economia circolare aguzza l’ingegno – puntata 3” su Spreaker.Un approccio caro ai giovani della generazione di Greta Thunberg, ai quali riconosciamo indubbiamente una consapevolezza che serve ormai un nuovo approccio ai consumi e un nuovo stile di vita, che richiede una maggiore consapevolezza e una riduzione degli sprechi.
E se parliamo di sprechi non possiamo non citare uno dei massimi teorici di lotta allo spreco: il professor Andrea Segrè, economista agrario, docente nelle Università di Bologna e di Trento, ideatore di Last Minute Market e della Campagna Spreco Zero.
Il professor Segré, nel suo libro “Il gusto per le cose giuste – Lettera alla generazione Z” (Mondadori editore), scrive: “La circolarità dell’economia impone che le risorse, già limitate di per sé, vengano usate in quantità il più possibile limitata e nel modo più intelligente possibile per fabbricare oggetti programmati non solo per essere usati a lungo ma anche, quando necessario, per essere riparati e poi riusati, raccolti e riciclati per fornire nuove risorse o materie prime secondarie. In questo modo le cose, le merci, i beni, forse anche le persone avranno almeno una doppia vita. Comunque una vita più lunga e non così artificialmente breve con tutte le forme di obsolescenza che ci siamo inventati per promuovere l’economia lineare, dove tutto deve morire presto per far posto a qualcosa di nuovo”.
Ogni anno, precisa Segré, anticipiamo di qualche giorno il momento in cui il nostro Pianeta esaurirà le sue risorse. Ha fatto eccezione il 2020 e il motivo è evidente: è stato l’anno dell’esplosione nel mondo della pandemia, con i vari lockdown che si sono succeduti e che hanno di fatto bloccato le attività antropiche, rallentato i trasporti, imposto degli stop pesantissimi alla vita come ci eravamo abituati. L’agricoltura è stata una delle poche attività che non si è mai fermata, garantendo sempre e comunque la produzione di materie prime.
Un esempio di economia circolare? Quello portato da Lorenzo Picco, dell’Azienda Agricola Magna Rosa, nel cuneese. Il giovane imprenditore ha saputo creare valore partendo da una realtà di piccole dimensioni, a conferma che la forza delle idee vince sui grandi numeri. Ebbene, applicando un concetto di economia circolare in chiave di valorizzazione degli scarti ha saputo valorizzare quattro varietà di mele (assicurando così biodiversità produttiva) sui mercati, offrendo una diversificazione produttiva attraverso succhi e pasta di mela e orientando la produzione anche verso la cosmesi, sbocco decisamente inedito per la frutticoltura standard.
A sostenerlo nell’avventura i fondi europei della Pac, grazie agli incentivi del Programma di Sviluppo Rurale (Primo insediamento giovani e innovazione), ma in primo luogo la volontà di progettare un’avventura imprenditoriale nuova, dove le idee fossero al servizio del business e della natura.
Peraltro quello dello spreco alimentare è un fenomeno di grande impatto ambientale. Ogni anno, infatti, nell’Unione Europea vengono gettati circa 88 milioni di tonnellate di alimenti, pari a 173 chilogrammi per persona e al 20% dell’intera produzione alimentare europea, con costi associati intorno a 143 miliardi di euro, due terzi dei quali sono riconducibili agli alimenti gettati a livello domestico (intorno a 98 miliardi di euro). Servirebbe dunque maggiore impegno per evitare le perdite di cibo in campo, lungo la catena di approvvigionamento e al consumo finale. Anche questo, un tema caro alla generazione di Greta Thunberg, su cui ci sono ancora ampi margini di miglioramento, a partire dalle mense scolastiche e dalle case degli studenti.
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del progetto ParteciPAC (www.partecipac.eu), finanziato dal programma IMCAP dell’Unione europea.
Le opinioni espresse nel presente articolo sono quelle dell’autore che ne assume la responsabilità esclusiva. La Commissione non è responsabile dell’eventuale uso delle informazioni in esso contenute.
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