Quest’anno una importante novità interessa il milione di docenti della scuola italiana.
Tutte e tutti noi, infatti, siamo coinvolti – come recita la legge 92 del 2019 – ne “l’insegnamento trasversale dell’educazione civica”. Una legge votata praticamente all’unanimità da Camera e Senato che, attraverso integrazioni successive all’iniziale disegno di legge, ha visto convergere tutto l’arco parlamentare.
Allo stesso tempo, oggi in Italia è vigente una legge sulla cittadinanza in base alla quale chi nasce in Italia da genitori stranieri non ha e non può assumere la cittadinanza italiana. Potrà chiederla solo al compimento del diciottesimo anno di età – cioè dopo tutta la sua infanzia e adolescenza, e solo se avrà “risieduto legalmente senza interruzioni” in Italia dalla nascita e se potrà provarlo.
Quindi una intera generazione di alunne e alunni – che costituisce attualmente il 10% del totale della componente studentesca – è definita dalle nostre leggi “straniera” pur essendo nata in Italia e pur parlando la lingua italiana, pur vivendo in Italia, frequentando le nostre classi, imparando le discipline scolastiche che insegniamo, vivendo al nostro fianco.
Queste generazioni di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi, per legge non hanno i diritti di cittadinanza e potranno aspirare a chiederli solo al termine della prima parte della loro esistenza, sempre che i loro genitori, per una qualsiasi ragione, non debbano trasferirsi in altra nazione anche solo per un anno durante questo periodo, perché ciò comporterebbe la perdita del loro diritto a reclamare la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno.
I nostri governanti hanno, dunque, predisposto un curricolo di Educazione civica che andrà insegnato in tutte le scuole, sia a quel 90% di studenti che gode i diritti di cittadinanza, sia a quel 10% che ne è privo, pur essendo nato in Italia e studiando nelle nostre aule. Ciò costituisce una contraddizione palese e una profonda ingiustizia: si promuove una civica educazione rivolgendola a soggetti che per legge vengono privati dello status giuridico di cittadine e cittadini. è una contraddizione che – in quanto docenti – non ci può sfuggire. Nelle nostre classi ci sono alunne e alunni che sono nella scuola senza essere della scuola e ciò si rivela determinante anche nel conseguimento del successo scolastico.
In realtà, la presenza di alunne e alunni “stranieri” nelle scuole di ogni ordine e grado, rappresenta per se stessa un esercizio di cittadinanza attiva. Ragazze e ragazzi che si trovano a metà fra contesti culturali molto diversi fra loro riescono a costruire ponti, aderendo in modo sempre più consapevole a un patto sociale che facilita la socializzazione e l’integrazione di intere comunità. Il successo di questo processo, tuttavia, dipende da quanto le alunne e gli alunni cresciuti nelle nostre classi si sentono parte di quella comunità, dal posto che quest’ultima assume nella formazione della loro identità.
Tutte le identità sono plurali e fluide, determinate dall’intersezione culturale, di genere, economiche o generazionali e si formano nell’interazione e nella relazione. Il senso di appartenenza ad una comunità determina, fin dalla scuola dell’infanzia, il grado di partecipazione e le modalità di coinvolgimento nella vita sociale italiana e, di conseguenza, l’assunzione di responsabilità. L’elaborazione, sempre in divenire, di una tanto citata “identità nazionale” tiene di fatto già conto della presenza e dell’apporto di comunità che condividono spazi e percorsi di vita. Non riconoscere il diritto di cittadinanza ad alcune di queste comunità serve solo a connotare di insicurezza e subalternità la vita di intere generazioni.
Così come è articolata, l’attuale legge di cittadinanza costituisce una grande ingiustizia nei confronti delle nuove generazioni nate in Italia. Questa legge è un vero scandalo.
Non si può insegnare la nuova materia “educazione civica” senza tacere quello scandalo, senza porre con forza all’opinione pubblica il problema di questa situazione di grave ingiustizia. Senza ricordare a tutti i politici che la scuola non è il luogo su cui versare bei discorsi di cittadinanza, ignorando le profonde contraddizioni irrisolte rispetto a quegli stessi diritti. Senza ricordare loro che ci saremmo attesi l’approvazione di una legge di cittadinanza non discriminatoria piuttosto che il varo di questa nuova materia.
Per queste ragioni, come docenti di tutti i gradi scolastici, pensiamo di non poter rimanere in silenzio. Riteniamo di doverci muovere sia nella didattica che come lavoratori e lavoratrici intellettuali.
Per quanto riguarda la didattica, riteniamo che all’interno del curricolo della nuova materia debba trovare spazio – articolata secondo le diverse età delle e degli studenti – l’analisi critica e l’apertura della discussione sulle norme di cittadinanza attualmente vigenti riguardanti minori nate e nati in Italia da genitori stranieri.
Inoltre, come corpo docente ci impegniamo e invitiamo ogni collega a chiedere la discussione in collegio docenti e a formulare mozioni che richiedano al ministero, e per suo tramite al governo in carica, il superamento di questa legge di cittadinanza basata sullo ius sanguinis.
Solo in tal modo potremo sentirci coerenti nel prendere parte alla formazione di cittadine e cittadini attraverso l’insegnamento dell’Educazione civica.
Silvia Di Fresco (IISS J.M.Keynes, Castel Maggiore – Bologna)
Gianluca Gabrielli (scuola primaria Federzoni, Bologna)
Luigi Lollini (scuola secondaria di I grado Volta, Bologna)
Alessandra Sanna (scuola primaria Silvani, Bologna)
Edoardo Recchi (scuola secondaria di I grado Carlo Pepoli, Bologna)
Teresa Rossano (IPSAS Aldrovandi Rubbiani, Bologna)