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Educazione civica: la corruzione della nostra democrazia è un lascito del fascismo, è bene che gli alunni lo sappiano

Non è raro sentirsi dire da qualche studente che le democrazie sono corrotte, mentre durante il ventennio fascista la corruzione non esisteva. Può risultare utile, pertanto, fornire alla classe dati che ribaltino la leggenda metropolitana, impartendo qualche lezione di educazione civica e di storia sull’argomento.

Fascismo incorruttibile?

Quello dell’incorruttibilità del governo fascista è un pregiudizio duro a morire, soprattutto con l’affievolirsi della memoria collettiva, a causa della lontananza nel tempo del regime e per la scomparsa ormai quasi totale della generazione che ne fu oppressa. Tuttavia la storiografia ha già da tempo smentito questo preconcetto, dimostrando che fin dalle origini i fascisti furono tutt’altro che candide mammolette incorruttibili e probe.

Giacomo Matteotti fu trucidato il 10 giugno 1924 anche perché stava per denunciare la vergognosa corruttela dei gerarchi e del duce stesso. Avrebbe dovuto farlo in Parlamento il giorno seguente, avendo già raccolto le prove che i petrolieri statunitensi della Sinclair Oil — fondata e allora presieduta da John Davidson Rockefeller — avevano lautamente pagato i fedelissimi di Mussolini (anche per non permettere a un ente petrolifero statale italiano di cercar petrolio in Libia, colonia italiana!). Tangenti milionarie erano finite persino in tasca al re Vittorio Emanuele III. Pure Arnaldo, il fratello minore di Mussolini, era coinvolto.

Mussolini sapeva, era complice e copriva con censura e propaganda

Sulla corruzione del regime fascista sono numerosi i testi storiografici. Per citarne solo alcuni più recenti, possiamo ricordare “Il fascismo dalle mani sporche” di Paolo Giovannini e Marco Palla (Laterza 2019). O “Mussolini e i ladri di regime: gli arricchimenti illeciti del fascismo” di Mauro Canali e Clemente Volpini (Mondadori 2019). O ancora “Tangentopoli nera” di Mario Cereghino e Giovanni Fasanella (Sperling & Kupfer 2016). Testi scientificamente validi, la cui attendibilità si basa sui precisi riferimenti a documenti d’archivio.

Ne risulta non solo la trama di disgustosa immoralità e corruzione che il fascismo intessé nei gangli vitali dello Stato, ma anche la consapevolezza che lo stesso “incorruttibile” Benito Mussolini possedeva ben chiara del fenomeno; tanto che fece di tutto per nasconderlo mediante disinformazione, censura e propaganda.

Utile, per lezioni sull’argomento, anche la visione del documentario “Mussolini e il Fascismo: dossier, ricatti e tradimenti”, reperibile su RaiPlay.

La dittatura appare pulita perché impedisce l’informazione

I regimi autoritari — così come quelli totalitari, col loro totalizzante consenso costruito e manipolato tra masse inconsapevoli, ipnotizzate dal pensiero unico — di destra o di sinistra che siano, sono tutti, per definizione, corrotti. Le dittature nascono, infatti, per garantire il potere a chi lo detiene. Annullato il controllo democratico della pubblica opinione, annichilita la libertà di stampa, controllata la magistratura, diviene semplicemente impossibile al cittadino medio comprendere quanto avviene nel segreto del Palazzo. E il gioco è fatto: i peggiori possono governare indisturbati. Altro che «potevi dormire con la porta aperta»!

Il ricco matrimonio di convenienza fra industria e armamenti portò l’Italia alla rovina

Alta finanza e regime fascista procedettero a braccetto fin da subito. Il conte Giuseppe Volpi (1877-1947), presidente di Confindustria dal 1934 al 1943, era già stato anche Governatore in Tripolitania dal 1921 al 1925, ministro delle finanze dal 1925 al 1928, presidente della Biennale di Venezia dal 1930 al 1943. Come Alberto Pirelli (1882-1971), veniva regolarmente ricevuto da Mussolini (privilegio riservato a pochissimi). Ugo Cavallero (1880-1943), già direttore della Pirelli, fu nominato dal duce sottosegretario di Stato al Ministero della guerra dal 1925 al 1928; poi fu presidente di Ansaldo fino al 1933. Nel 1937 fu chiamato a comandare l’esercito in Africa orientale, fino a diventare capo di stato maggiore generale nel 1940.

Il legame tra industria militare italiana e regime fascista era dunque strettissimo: ma, considerata la serie infinita di figuracce e lutti che l’inefficiente inadeguatezza degli armamenti italiani procurò al Paese fino al tracollo del 1943, non si trattò di un legame molto utile alla Patria.

La resistibile ascesa dei ducetti di provincia

A livello locale poi era tutto un fiorire di piccoli despoti di provincia divenuti gerarchi, smaniosi di ascendere a rilevanza nazionale traendo vantaggio dalle economie periferiche. È facile intuire le collusioni e i mimetismi tra il potere esplicito e quello sotterraneo (e sostanziale) in terre dominate dalla mafia.

I documenti prefettizi, di enti locali e questure aprono squarci di luce su quanto nell’ombra si verificava, rivelando non una inesistente lotta del fascismo contro la corruzione ma, al contrario, lo scontro tra i vecchi notabili del territorio e la nuova borghesia in camicia nera, che sgomitava per emergere approfittando del nuovo sistema.

Piccoli picchiatori crescono

Molti squadristi e picchiatori d’umile origine divennero ricchissimi grazie al regime. Raffaello Riccardi (1899-1977), ad esempio, cui lo stesso duce nel 1940 chiese conto delle ricchezze acquisite, aveva capitali in Svizzera. Carlo Scorza (1897-1988) si occupò di banche, eliminando tutti i propri concorrenti e nemici personali. Costanzo Ciano (1876-1939), altrimenti anonimo armatore di Livorno, divenne ricchissimo e riuscì a far sposare il figlio Galeazzo con la figlia del duce Edda: unione da cui nacque una “famiglia allargata” con le mani in pasta in numerosi affari. Nel superiore interesse della Patria, s’intende.

Possiamo affermarlo senza tema di smentite: la trista corruzione della nostra Repubblica è un generoso lascito del fascismo. È bene che i giovani lo sappiano.

Alvaro Belardinelli

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