Home I lettori ci scrivono Educazione civica nelle scuole, esattamente di cosa stiamo parlando?

Educazione civica nelle scuole, esattamente di cosa stiamo parlando?

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Scrivo questa lettera per esprimere il disagio e lo sconforto di noi docenti (vorrei dire indignazione, ma per quella non abbiamo più le energie; ce la aspetteremmo almeno dagli osservatori esterni, dai commentatori dell’informazione, che forse rispetto a noi qualche ascolto presso l’opinione pubblica lo possono ancora avere) di fronte ai titoli dei giornali e dei siti web di queste ore, tutti all’insegna dello slogan “torna l’educazione civica”; si tratta in genere di trafiletti o poco più, nei quali quasi mai si spiega che questa presunta riforma, decantata con grande entusiasmo da esponenti del Governo e – ahimè – ingenuamente descritta come epocale da alcuni organi di stampa, è a costo zero e prevede che le scuole, a un mese dall’inizio delle lezioni e in periodo di ferie, individuino autonomamente e improvvisamente le modalità di attuazione (non è dato sapere quando verranno comunicate eventuali “linee guida”).

Ancora una volta la scuola, e un tema quanto mai nobile e importante come quello dell’educazione civica, vengono trattati senza serietà, con la cialtroneria e la malafede che purtroppo caratterizzano questi tempi infausti.

È necessario allora chiarire e ripetere con forza che quella appena “introdotta” dal Governo non è in realtà una novità, giacché percorsi autogestiti dalle scuole per la sensibilizzazione su temi attinenti all’educazione civica e alla legalità vengono attuati da lungo tempo: senza ripercorrere la travagliata storia di tale insegnamento nella scuola italiana, basterebbe, per smontare i ridicoli proclami di chi come il Ministro Bussetti parla di occasione “storica”, accennare al fatto che, proprio a partire dagli esami di Stato appena terminati, “Cittadinanza e Costituzione” è diventato un passaggio obbligato della prova orale: i temi attinenti all’educazione civica, in applicazione del D.lvo 62/2017, devono essere oggetto di discussione durante il Colloquio.

Se e come, poi, questo sia effettivamente accaduto durante gli esami, andrebbe chiesto a studenti e insegnanti, che sanno quanto fortunosamente e approssimativamente si sia giunti la scorsa primavera a individuare qualche argomento trattato a lezione o qualche attività svolta durante l’anno per riempire la voce “Cittadinanza e Costituzione” del “Documento del 15 maggio” e dare così concretezza a questa disciplina “fantasma”: ogni consiglio di classe si è dovuto ingegnare all’ultimo momento (vogliamo ricordare – a proposito di serietà – che le indicazioni sullo svolgimento della prova orale dell’esame di stato quest’anno sono state comunicate a poche settimane dalla conclusione dell’anno scolastico?), in una frammentazione e in una disparità di procedure e di livelli che è ormai la regola nella scuola (e sempre più lo sarà, se si darà seguito alla devastante intenzione di ‘regionalizzare’ l’istruzione, secondo l’unico vero interesse di chi attualmente controlla il Ministero di viale Trastevere).

La reale (e sola) novità del disegno di legge appena approvato consiste nel fatto che la nuova “disciplina” dovrà dal prossimo anno scolastico avere riscontro in un voto in pagella, cosa che indubbiamente rende vincolante l’attività e che apparentemente la toglie dal limbo in cui è stata finora.

Chi poi, però, la debba svolgere, come, quando, e soprattutto – non essendo previsto nessun compenso aggiuntivo – a scapito di che cosa, il legislatore non lo dice, né sembra interessato a chiederselo: a definirlo, così, su due piedi, nelle prossime settimane, saranno le singole scuole, ormai abituate e rassegnate a inventarsi qualcosa per ottemperare alle sempre più generiche ma paradossalmente cogenti indicazioni ministeriali, in ossequio alla fantomatica “autonomia”, la parola truffa dietro la quale da alcuni decenni ormai il MIUR può nascondersi per giustificare ogni sciatteria e mancanza di assunzione di responsabilità e impegno per un’istruzione realmente pubblica.

In pratica, come si legge nel testo stesso del DDL che “introduce” l’educazione civica, si tratterà di individuare per ogni classe un docente coordinatore delle iniziative attinenti a questo nuova “materia”, che continuerà di fatto ad essere l’insieme di attività disparate e frammentarie, svolte un po’ da un insegnante e un po’ dall’altro, a seconda del maggiore o minore grado di affinità della propria disciplina con i temi civici; tale docente coordinatore (sorteggiato? obbligato?) sulla base delle indicazioni occasionalmente ricevute dai diversi colleghi dovrà proporre il voto finale; si può ben immaginare quanta credibilità avrà, in primis presso gli studenti, tale valutazione, frutto di osservazioni sporadiche e disordinate, senza uniformità tra le classi, senza contenuti specifici e verifiche rigorose. Per ammantare di senso la vaghezza del nuovo “insegnamento”, il legislatore si avvale tuttavia di un altisonante aggettivo, “trasversale”, un’altra di quelle vuote parole tanto in voga nel didattichese oggi imperante, che dovrebbero evocare immediatamente un esaltante senso di modernità.

Se si fosse voluto procedere con serietà, si sarebbe incrementato il quadro orario di tutte le scuole, con un’ora settimanale (che poi è esattamente il tempo concesso dallo Stato all’insegnamento della religione cattolica, evidentemente più meritevole dell’educazione civica), affidandola a docenti con adeguata preparazione e la necessaria abilitazione, e individuando contenuti disciplinari precisi e livelli di competenza diversi anno per anno. Ma questo, ovviamente, avrebbe avuto dei costi e avrebbe richiesto del tempo.

E allora molto meglio procedere come già in passato, ad esempio quando la riforma Gelmini (governo Berlusconi IV) eliminò con un tratto di penna l’insegnamento autonomo della geografia al biennio dei licei (2 ore settimanali, 66 annue), facendolo confluire con storia in un unico insegnamento, orrendamente denominato “geostoria”, per un totale di 3 ore settimanali (99 annue, a fronte delle precedenti 132).

La consueta abilità italiana di fare le nozze coi fichi secchi, che nel mondo dell’istruzione e della cultura pare la modalità costante e ineluttabile. Una mossa geniale, una miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci, senza nessuna fatica né spesa da parte del Ministero. Un perfetto esempio di ipocrisia per le giovani generazioni.

Paolo Marsich