a cura di Mariarosa Rossitto
Sulla Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 2019 è stata pubblicata la Legge n. 92, Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’Educazione civica.
La legge è entrata in vigore quindici giorni dopo la pubblicazione, quindi ad anno scolastico già iniziato, e la sua attuazione di conseguenza dovrebbe slittare all’anno scolastico 2020/2021.
Bussetti però intendeva avviare l’insegnamento già da quest’anno, almeno come sperimentazione, e con tale intento, il 27 agosto, quando era ancora in carica come ministro, ha inviato una bozza di decreto al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, organo consultivo del Miur.
Il mondo della scuola è rimasto in attesa del parere, obbligatorio ma non vincolante, del CSPI, che si è riunito 11 settembre, bocciando l’introduzione dell’Educazione civica già da quest’anno come sperimentazione nazionale.
La prima considerazione che si coglie nei discorsi tra docenti riguarda ancora una volta lo scollamento tra propaganda e realtà. L’Educazione civica non è certo una novità introdotta da questa legge. Con altre denominazioni e con altre modalità l’insegnamento era già svolto a scuola.
Altre considerazioni riguardano le criticità organizzative e il mancato riconoscimento economico del lavoro di coordinamento delle attività didattiche legate alla disciplina.
Le istituzioni scolastiche dovranno inserire nel curricolo d’istituto l’insegnamento trasversale di Educazione civica. Le ore dedicate a tale insegnamento non potranno essere meno di 33 all’anno, cioè un’ora a settimana, e rientreranno nel “monte orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti”. Inesatto e fuorviante presentare quindi l’ora di Educazione civica come un’ora in più. Le 33 ore saranno sottratte ad altri insegnamenti e questo, in particolare nelle scuole superiori, farà sorgere delle criticità.
La disciplina avrà un voto di valutazione in pagella ma non dovrà essere un unico docente ad occuparsi di tale insegnamento. Nelle scuole del primo ciclo l’insegnamento sarà affidato in contitolarità, nel secondo ciclo le 33 ore dovranno essere affidate ai docenti del Consiglio di Classe. Con un’eccezione: nelle scuole secondarie di II grado i docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche che fanno parte dell’organico dell’autonomia – il famigerato potenziamento – dovranno farsi carico di tale insegnamento. Né la legge né la bozza con le linee guida spiegano però come fare se, per esempio, in un istituto superiore con 40 classi c’è un unico docente di diritto nell’organico dell’autonomia…
Per ogni classe ci sarà un docente che dovrà coordinare il lavoro dei colleghi, raccogliendo anche elementi per formulare la proposta di voto. È scritto però a chiare lettere, nel comma 8 dell’articolo 2, che per tale incarico “non sono dovuti compensi”, a meno che non venga stabilito diversamente in sede di contrattazione d’istituto.
Insomma, lo Stato se ne lava le mani e scarica sulle singole scuole la possibilità di assegnare un compenso per l’incarico di coordinatore della disciplina, attingendo al fondo d’istituto. Non appare un tantino paradossale a questo punto che la stessa legge inserisca, tra gli argomenti da sviluppare nell’insegnamento di civica, anche il diritto del lavoro?
Oltretutto è molto probabile che questo incarico sia attribuito al coordinatore di classe, figura che, a fronte delle innumerevoli incombenze, ha già un riconoscimento economico risibile.
Le tematiche da sviluppare nell’ambito di Educazione civica toccano argomenti importanti e questioni di grande attualità. Eccole presentate sinteticamente:
L’articolo 3 precisa inoltre che “nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’Educazione civica sono altresì promosse l’educazione stradale, l’educazione alla salute e al benessere, l’educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva”. Una mole di argomenti non indifferente, impossibile da esaurire nell’arco di 33 ore annue.
A fronte dell’enorme spazio dato all’educazione alla cittadinanza digitale – argomento attuale e importante – a cui è dedicato interamente l’articolo 5 della legge, non si può non notare l’assenza di qualsiasi riferimento alla questione della parità di genere, tematica non certo meno rilevante.
È vero che alla parità di ruoli fanno riferimento sia la Costituzione (articolo 3) che l’Agenda 2030 (obiettivo 5), però sembra significativo (e preoccupante) che né nella legge né nella bozza di linee guida ci si soffermi sulla questione. Il cammino verso una reale e sostanziale parità nel nostro Paese è ancora in salita e un’attenzione maggiore del legislatore di certo non guasterebbe.
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