Nuovo appuntamento con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di emozioni.
Proviamo costantemente emozioni e sappiamo che sono importanti nella vita, eppure costituiscono spesso per noi un mondo sconosciuto. La loro funzione principale? Indurci a dare risposte rapide a situazioni che riguardano aspetti importanti della nostra vita. E’ per questo che qualcuno, come Daniel Kahneman, le chiama… pensieri veloci.
Secondo la definizione proposta dalla filosofa Martha Nussbaum, le emozioni sono innanzitutto giudizi valutativi, basati su credenze, relativamente a certi oggetti specifici (persone, eventi, situazioni, ecc.). Se, ad esempio, camminando per strada, sentiamo una macchina accelerare dietro di noi, proviamo improvvisamente l’emozione (la più antica e potente, probabilmente) della paura.
Di fatto, cosa stiamo facendo? Stiamo emettendo un giudizio valutativo del tipo: “Questa è una situazione pericolosa” e lo stiamo facendo sulla base di nostri convincimenti relativamente a certi “oggetti”, del tipo: “Il guidatore della macchina potrebbe non frenare in tempo e investire i pedoni, mettendo a rischio perfino la loro sopravvivenza”.
Ovviamente, le emozioni sono anche altro. Continua Nussbaum: gli oggetti relativi a tali convincimenti o credenze sono da noi non controllabili e relativi a nostri importanti fini. Se proviamo paura nei confronti dell’auto che si avvicina velocemente verso di noi è perché ci teniamo alla nostra vita e perché non riteniamo assolutamente sotto controllo la situazione e i “beni” messi in campo.
Non basta, però. Nussbaum aggiunge alcuni elementi fondamentali: tali giudizi valutativi (su oggetti specifici importanti ecc.) sono capaci di determinare il coinvolgimento complessivo della persona e la predisposizione di piani d’azione rapidi e adattivi agli stimoli ambientali. A questo si ricollega il loro essere intense (anche molto intense) e, contrariamente agli stati d’animo e ai sentimenti, di breve durata (per fortuna, possiamo tranquillamente aggiungere).
Questo è il vero cuore delle emozioni: ci coinvolgono totalmente (mente e corpo) e ci “spingono” ad approntare piani d’azione molto rapidi per favorire il nostro adattamento. Queste rapidissime risposte precedono la ponderazione più fine e accurata (ma anche più lenta) della situazione che effettuerà successivamente il nostro sistema razionale (la nostra neocorteccia, in termini neurofisiologici).
Nel caso della paura, in situazioni di possibile pericolo, i dati sensoriali che ci arrivano attraverso il talamo vengono elaborati direttamente dall’amigdala (è la cosiddetta “via bassa” del circuito della paura: una via meno accurata ma più rapida), prima che siano inviati alle aree deputate della neocorteccia. L’amigdala infatti valuta l’importanza della situazione sul piano emotivo e invia così trasmissioni all’ippocampo, che ne fissa il ricordo. Da lì segue, senza mediazione razionale, l’azione di risposta, il comportamento. La cosiddetta “via alta” è invece più fine, ma anche più lenta: i dati sensoriali provenienti dal talamo vengono elaborati prima dalla neocorteccia con successiva attivazione dell’amigdala.
Il vantaggio della via bassa però è evidente: essa fa sì che noi, prima, vediamo mobilitato l’intero nostro organismo e facciamo di conseguenza un balzo di due metri di lato quando sentiamo il forte rumore della macchina in minaccioso avvicinamento (senza quindi “pensare” ad alcunché) e poi… ne riparliamo. Solo dopo, insomma, con il cuore che ancora batte a mille, appureremo, con una elaborazione più fine dei vari dati implicati nella situazione, qual era la sua reale pericolosità (“Tutto sommato, la macchina era ancora abbastanza lontana e il guidatore stava già per frenare e rallentare”). E’ evidente quanta importanza abbia tale velocità di (pur grezza) elaborazione per l’essere umano, persino per la sua stessa sopravvivenza.
Può tuttavia succedere, per malaugurati meccanismi di condizionamento associativo, che il sistema limbico (l’antica area cerebrale di cui fanno parte appunto amigdala e ippocampo) si attivi anche in assenza di uno stimolo di effettivo pericolo oppure che si attivi in modo eccessivamente prolungato. E questo diventa un guaio. Momenti di forte tensione emozionale, disturbi d’ansia o fobie rappresentano espressioni particolarmente dolorose di tale disfunzionalità emotiva: le emozioni in questi casi in un certo senso “sequestrano” il nostro sistema decisionale, prendendo il totale controllo del nostro comportamento, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Attività di alfabetizzazione emozionale a scuola, col supporto conoscitivo delle varie discipline, potrebbero utilmente affrontare questi aspetti e renderne più consapevoli gli studenti. Anche considerato che quello delle emozioni è un mare che navighiamo costantemente. Un mare che non è sempre tranquillo.
(V., a questo proposito, LeDoux Joseph, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo, Raffaello Cortina Editore, 2002).
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