I numeri della sua ricerca, condotta su un campione di testi delle principali case editrici del settore, parlano chiaro: la discriminazione c’è, quantitativa e qualitativa. Solo per fare qualche esempio, tra i personaggi delle storie ci sono 16 maschi ogni 10 femmine; le professioni attribuite ai maschi sono 50, quelle attribuite alle femmine 15 (e spesso improbabili); gli aggettivi riferiti a maschi e femmine sono distinti e continuamente squalificanti per le seconde. Persino la collocazione spaziale dei personaggi è fortemente discriminatoria: i maschi viaggiano per mari isole boschi e deserti, le femmine al più si affacciano sul terrazzo o nel giardino di casa.
Esiste insomma, come si legge nel risvolto di copertina, un mondo popolato da valorosi cavalieri, dotti scienziati e padri severi ma anche da madri dolci e affettuose, casalinghe felici, streghe e principesse; in questo stesso mondo i bambini sono indipendenti, coraggiosi e dispettosi mentre le loro coetanee – bionde e carine – vestono di rosa, sono educate e servizievoli, a tratti pettegole e vanitose. Questo universo fantastico è quello con cui si interfacciano quotidianamente i bambini e le bambine che frequentano le elementari, quando leggono le storie raccolte nei loro libri di lettura.
All’inizio del Duemila la scuola italiana continua a tramandare modelli di mascolinità e femminilità rigidi e anacronistici, sulla base dei quali gli alunni dei due sessi andranno a strutturare le rispettive identità di genere. I risultati dell’indagine testimoniano l’urgenza di liberare le nuove generazioni da un immaginario di Principi Azzurri e Belle addormentate nel bosco, che inizia a stare un po’ stretto sia ai maschi che alle femmine.
Nel complesso, dice Biemmi, i testi appaiono in ritardo nella registrazione dei cambiamenti sociali dei ruoli di genere. E i pochi anti-stereotipi presenti sono perlopiù messi in luce negativa (la mamma che lavora e cucina solo surgelati…).
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