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Educazione sessuale e affettiva a scuola, l’esperta: “A casa non se ne parla, i giovani non sanno con chi confrontarsi”

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Da tre anni, Anita Fortunato, ostetrica ed educatrice sessuale, porta l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole grazie a un progetto finanziato dalla Regione Piemonte per prevenire le malattie sessualmente trasmissibili. Le lezioni, attive in istituti come il Volta e il Gioberti, trattano sia aspetti scientifici sulla prevenzione sia temi affettivi come orientamento sessuale, identità di genere e relazioni.

In un’intervista a Repubblica, l’esperta parla di come gli studenti, privi di spazi sicuri per discutere di sessualità, accolgono il progetto con interesse. “Dopo la prima lezione ci confidano dubbi e domande”, spiega. Il modello prevede anche la peer education: ragazzi formati trasmettono le conoscenze ai compagni. La maggior parte degli istituti e delle famiglie si dimostra favorevole, anche se ci sono state rare resistenze. “Proporre il progetto gratuitamente ha facilitato l’accoglienza”, aggiunge Fortunato. Mancano spazi sicuri dove i giovani possano ottenere informazioni. I consultori sono spesso limitati per età e utenza femminile. “Servono luoghi informali per parlare con esperti”, sottolinea. La dottoressa spiega, appunto, che ancora in famiglia l’educazione sessuale rimane un argomento delicato: gli adolescenti preferiscono rivolgersi a coetanei o partner.

Secondo Fortunato, l’età del debutto sessuale si è abbassata, ma i giovani spesso mancano di consapevolezza rispetto a una sessualità più matura e completa. La pressione sociale dei coetanei, amplificata dai social media, gioca un ruolo significativo. Ma quali sono i temi più richiesti? Gli adolescenti vogliono saperne di più su infezioni sessuali e aspetti emotivi. La consapevolezza, però, è ancora legata alla paura della gravidanza, mentre si sottovalutano altri rischi.