Dopo le orribili violenze sessuali di gruppo ad “opera” di giovanissimi che hanno avuto luogo in questo periodo Palermo e a Caivano, si discute molto della possibile introduzione di percorsi di educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Ma educare in questo senso i ragazzi è compito della scuola o della famiglia?
A dire la sua, su IlLibraio.it, è stato il docente e scrittore Enrico Galiano. Ecco il suo pensiero: “Ma certo, possiamo anche fare ore e ore di educazione sessuale a scuola. Tutte quelle che volete. Anche se la situazione è talmente grave che bisognerebbe pensare a una dicitura un po’ più esplicita, tipo ‘educazione al rispetto’ o, meglio ancora, ‘ore in cui si insegnano cose base tipo che violentare un altro essere umano è sbagliato’. Ovvio che sono il primo a dire: sì, facciamolo! Ore in cui insegniamo che cos’è il consenso, cosa si deve fare quando una ragazza ti dice no, cosa si deve fare quando ti dice prima sì ma poi cambia idea ed è no. E ancora: cosa fare quando lei ha bevuto troppo, come comportarsi se c’è qualcuno che se ne sta approfittando. Figuriamoci se si può essere contrari”.
“Il problema sapete qual è? È che è come scrivere sulla sabbia, proprio davanti al mare. Tu puoi anche mettere per iscritto le regole più sacrosante, e inciderle per bene su quella battigia, ma poi sai che arriverà il mare, la notte, a cancellare tutto. Due onde ben assestate, un movimento di marea, e ciao ciao begli insegnamenti, progetti, laboratori”.
“Voglio dire: posso fare anche solo educazione sessuale a scuola. Dalla prima all’ultima ora. Ma se poi loro tornano a casa, accendono la TV, e vedono quella pubblicità dell’acqua minerale, quella che sembra uscita dagli anni 60? Quella in cui la moglie prepara la cena per l’uomo che porta a casa la pagnotta?”.
“Un’onda, parole cancellate dalla sabbia. E quando poi ascoltano certi testi di certi cantanti trap, dove le donne sono fondamentalmente oggetti che hanno valore solo per la loro disponibilità o la misura del loro reggiseno?”.
“Altra onda, altre parole cancellate dalla sabbia. E quando magari capita loro di ascoltare discorsi di giornalisti poi condivisi e commentati positivamente da tante persone, discorsi dove si dice in sostanza che se una ragazza beve un po’ troppo vuol dire che se la sta cercando? E quando sono gli stessi genitori, a tavola, a dire le esatte parole di quel giornalista, o a ribadire che una ragazza deve stare attenta a come si veste e come si comporta, perché così se no si mette nei guai? Ed esempi se ne potrebbero fare fino a domani: dalla pubblicità, dai social, dalla tv. Ancora onde, fino a che non resta più nulla”.
“In sostanza: è proprio vero che la scuola può diventare una seconda famiglia, ma solo se la famiglia – e la società che le sta intorno – diventano la prima scuola. Come recita quel cartello famosissimo appeso sui muri di una metropolitana: non bisogna proteggere le nostre figlie, ma educare i nostri figli. Noi dai banchi di scuola faremo sempre di tutto, non molleremo mai, ma fino a che non apriremo gli occhi e non ci renderemo conto che non è la scuola a dover fare di più, ma la società fuori da essa a dover cambiare, sarà difficile che qualcosa cambi davvero”.
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