Nell’era digitale che stiamo vivendo l’educazione sessuale alla pari di altri aspetti della vita sociale, assume nuove sfumature e aspetti di rilevante importanza che meritano di essere affrontati da genitori, insegnanti educatori.
La rivoluzione digitale è stata molto rapida ed ha cambiato se non addirittura sconvolto le nostre abitudini giornaliere, il nostro modo di affrontare le cose, il nostro quotidiano. Anche le relazioni interpersonali vanno riviste ed analizzate in quest’ottica.
Molto interessante l’analisi fatta dal pedagogista del digitale Gregorio Ceccone (fonte Agenda Digitale) sull’impatto delle nuove tecnologie sull’educazione sessuale. La presenza del digitale permette oggi “l’accesso a una vasta gamma di risorse educative”. I giovani hanno a disposizione siti web, forum online e app che forniscono informazioni su temi legati alla sessualità, sulla riproduzione e sulle relazioni. Strumenti utili che purtroppo sostituiscono le vecchie lezioni del papà e della mamma di una volta e soprattutto l’assenza formale dell’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole italiane.
Secondo il Global Education Monitoring dell’Unesco, solo il 20% dei paesi ha una normativa sull’educazione sessuale e solo il 39% ha adottato iniziative specifiche in materia (fonte Agenda Digitale). Purtroppo, L’Italia si colloca tra gli ultimi posti tra le Nazioni Europee in quanto ad educazione sessuale nei programmi didattici scolastici.
Non va affatto sottovalutata la piaga della pornografia in età anche molto giovane. Gli adolescenti di oggi hanno molte più possibilità rispetto ai giovani di una volta di accedere liberamente al mondo della pornografia, e la stessa condivisione con i social è velocissima.
Nel 2022, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che attualmente riunisce 306 membri dei Parlamenti dei 46 Stati membri, si è dichiarata “allarmata dall’esposizione senza precedenti dei bambini alla pornografia per immagini, che è dannosa per il loro sviluppo psicologico e fisico” (Fonte I just).
Da un punto di vista squisitamente fisiologico, la pornografia ha un impatto molto importante sui giovani a causa tanto della loro sensibilità alla dopamina, quanto delle caratteristiche del loro cervello, la cui plasticità consente il prodursi di effetti sulle dinamiche sia dell’apprendimento che della riflessione “rendendoli di fatto più vulnerabili allo sviluppo di disturbi mentali e a comportamenti pericolosi del tutto assimilabili a quelli dell’abuso sessuale”.
Questi aspetti devono far riflettere di quanto sia delicato e importante l’argomento e quanto la scuola svolga un ruolo cruciale di questo aspetto legato a bambini e ragazzi.
Già nel 2018 l’Unesco aveva affermato che “l’educazione sessuale nelle scuole consente a bambini e ragazzi di sviluppare conoscenze, competenze, atteggiamenti e valori che li metteranno in grado di realizzarsi, nel rispetto della loro salute, del loro benessere e della loro dignità”.
In Italia la politica ha più volte provato ad istituire nei piani didattici l’educazione sessuale come materia. Addirittura, il primo input avvenne nel lontano 1902 quando l’allora Ministero dell’Istruzione rispose a un’interrogazione che chiedeva di istituire corsi per la prevenzione delle malattie veneree. Il primo vero tentativo di approvare una legge che introduce lezioni di educazione sessuale risale al 1975, e da allora si contano almeno 16 proposte parlamentari. Tutte fallite. (Fonte Corriere.it).
Nel 1991 si arrivò molto vicino in quanto il governo Andreotti, sembrava in procinto di approvare una legge che mirava a renderla una materia anche se non obbligatoria a partire dalla scuola primaria, ma scoppiò il caso “tangentopoli” e l’approvazione in Parlamento non venne mai portata avanti. Da allora tanti dibattiti tra i partiti politici e idee soprattutto dopo eventi di vittime a sfondo sessuale ma purtroppo nulla di concreto.
Oggi, quindi, le attività educative sono, come sempre in questi casi, eterogenee perché lasciate in mano alle singole iniziative legate alla buona volontà dei dirigenti scolastici tramite progetti finanziati da Regioni e Enti Statali.
I numeri (fonte Corriere.it) parlano di circa 1400 corsi nel 2017 su oltre 5mila Istituti Pubblici, numeri che scendono dopo il Covid. In molti casi la durata dei corsi è stata di appena tre sessioni per un totale di sei ore, durante le quali si è parlato soprattutto e solo di malattie trasmissibili, relazioni e sessualità.
E’ ora che la politica riprenda in mano il discorso e lavori tutti insieme per portare in maniera definitiva e organizzata la materia all’interno dei piani didattici scolastici.
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