“Il ‘gioco’ della robotica educativa prevede che gli allievi si costruiscano il giocattolo, cioè il robot. Dall’ideazione alla realizzazione concreta, che comprende anche la programmazione dei comportamenti che si vogliono ottenere dal robot, passa diverso tempo, il gioco non è immediatamente a disposizione. Prima di giocare bisogna investire in attenzione, impegno, collaborazione, capacità organizzativa e mettere a frutto abilità più specifiche legate alle diverse operazioni da svolgere. L’allievo deve mettere insieme i pezzi seguendo le istruzioni, ma deve anche saper attendere il proprio turno; deve scrivere il programma per ottenere il risultato voluto ma, se non succede quel che deve succedere, deve cercare l’errore e provare di nuovo. È quindi il percorso che si fa per raggiungere l’obiettivo che conferisce valore educativo all’attività”.
A tal proposito è utile ricordare il progetto europeo Edurob (Educational Robotics for Students with Learning Disabilities) dedicato all’impiego della robotica educativa in casi di disabilità cognitiva e autismo, che è iniziato a fine febbraio 2014, con un incontro a Nottingham volto a definire le finalità del progetto e i compiti di ogni partner.
Il progetto prevede la partecipazione di diversi Paesi europei: UK, Lituania, Bulgaria, Italia, Polonia e Turchia. I partner sono eterogenei, appartenenti ad ambienti che sembrano lontani fra loro (psicologia, pedagogia, ingegneria). Il taglio interdisciplinare mette in evidenza come le relazioni che intercorrono tra l’apprendimento percettivo e quello concettuale abbiano una grande importanza nell’educazione.