Come era facilmente prevedibile, sui dati di Eduscopio si sta sviluppando un vivace dibattito sui social, e non solo.
Fra le voci più autorevoli va segnalata quella di Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale all’Università di Roma Tre.
“Sono vent’anni che mi occupo di ricerche empiriche sulla qualità e sull’efficacia in campo educativo” afferma Corsini che subito aggiunge: “Eduscopio raccoglie dati davvero interessanti. Tuttavia, la Fondazione Agnelli, attraverso Eduscopio, pretende di definire la qualità formativa delle scuole sulla base di misure molto parziali e povere come quelle relative ai risultati ottenuti da studentesse e studenti una volta lasciati gli istituti”.
“Ma in questo modo – continua il pedagogista – si rischia di confondere queste misure con un costrutto complesso come quello di qualità (che può essere misurato, ma usando anche altri indicatori). In altri termine, Eduscopio mescola in maniera inappropriata misurazione e valutazione, un errore molto grave per chiunque si occupi di educazione e gravissimo per chi fa ricerca empirica in ambito educativo”.
Ma perché i dati raccolti sono al tempo stesso “interessanti” ma anche “parziali e poveri”?
Spiega Corsini: “Perché la validità di una misura non è una caratteristica intrinseca del dato o dello strumento ma dipende dalle motivazioni che ci spingono a misurare. Se lo scopo è quello di pervenire a giudizi sulla qualità delle scuole, non si tratta solo di scoprire “relazioni statistiche” (sicuramente interessanti), ma di fare inferenze sensate su determinati nessi causali. A tale scopo però non basta misurare qualche prodotto, è anche necessario entrare nelle scuole e descrivere i processi. Eduscopio questa cosa necessaria non la fa”.
“C’è poi un altro aspetto importante – aggiunge ancora Corsini – la validità di una misura dipende anche dalle conseguenze che produce sui processi o sui contesti oggetto di misurazione. Il problema qui non è rappresentato dal tentativo di misurare e valutare la qualità delle scuole, ma dal volerlo fare senza considerare decenni di sviluppo teorico, metodologico empirico nella ricerca sul campo. Con rischi di non poco conto: la pubblicazione di classifiche come quelle di Eduscopio potrebbe incrementare pratiche come la selezione in ingresso operata dagli istituti in modo da non perdere posizioni o le stesse scelte delle famiglie orientate a scartare una scuola perché sfigura in classifica senza confrontarsi con chi in quella scuola lavora”.
“Infine – prosegue ancora – va detto che questo cose sono ben note a chi è competente nella statistica. Già nel 2014 l’ASA (American Statistical Association) prendeva posizione sul rapporto tra ‘relazioni statistiche’ e dinamiche educative con una nota molto chiara che, come tutta la riflessione competente in ambito statistico e in generale scientifico, rappresenta un invito alla prudenza e al senso della misura”.
“E se proprio vogliamo dirla tutta – conclude Cristiano Corsini – non possiamo dimenticare che fin dalla fine degli anni Sessanta (mi riferisco in particolare a rapporto Coleman, modello Stufflebeam) abbiamo capito che la faccenda è un po’ più complessa e che senza informazioni su processi e contesti non è possibile ragionare sulla qualità e sull’efficacia di specifici contesti dato che rischiamo di confondere certi effetti con le cause e viceversa. Ci sono indagini e ricerca che utilizzano questa accortezza, ma sono assai diverse dal Rapporto Eduscopio”.
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