Didattica

“Effetto lingua straniera”: chi parla più lingue vive su più dimensioni e conosce meglio se stesso

Ieri è stata celebrata la Giornata Europea delle Lingue e proprio in questi giorni The Guardian ha pubblicato un interessante studio dell’università di Chicago secondo il quale le persone poliglotte, passando dalla propria lingua madre un’altra, modificano, migliorandoli, i propri comportamenti e modi di essere. Il quotidiano britannico ha dedicato un lungo articolo a uno studio compiuto dal professor Boaz Keysar, docente di Psicologia cognitiva all’Università di Chicago.

Secondo lo studioso e la sua équipe – che hanno realizzato uno studio internazionale con l’Università di Barcellona – passare dalla propria lingua a un’altra produce numerosi cambiamenti, positivi, di comportamento: la ginnastica mentale necessaria per passare dalla lingua madre a una Lingua 2 e la conseguente distanza che si assume rispetto alla Lingua 1 generano il cosiddetto “effetto lingua straniera”, un fenomeno, del resto, già conosciuto dai ricercatori di tutto il mondo. Nel 2017, infatti, alcuni esperti dell’Università La Sapienza di Roma avevano pubbliato un articolo “Foreign Language effect”, in cui dichiaravano che l’Effetto lingua straniera è il fenomeno per cui quando un individuo pensa in una lingua straniera tende ad attivare dei processi sistematici di ragionamento, che non sono gli stessi che possono essere messi in atto quando invece il ragionamento avviene nella madrelingua.

Lo stesso Keysar, già nel 2012, aveva inquadrato e definito il fenomeno linguistico e mentale. Adesso, alla luce di studi ed esperimenti compiuti su campioni di persone provenienti da tre continenti diversi, America, Europa e Asia, il cerchio sembra chiuso.

Concretamente, di che si tratta? Quali sono questi “effetti” che si produrrebbero allorché si passa dalla propria lingua a un’altra?

Secondo gli ultimi studi di Keysar, durante l’uso di una lingua non materna, il parlante ha tendenza ad assumere di più eventuali rischi, a essere meno timoroso di sviluppare certe idee: pensando in una lingua straniera, cioè, si è meno attenti alla corretta formulazione della frase e più concentrati sui contenuti del messaggio, si ha meno paura a esprimere in pubblico il proprio pensiero.

Altro influsso molto importante: se, pensando ed esprimendoci in lingua madre, siamo talvolta tentati di credere che, su questo versante, siamo migliori di molti altri, quando pensiamo e parliamo in una lingua straniera questo effetto cessa del tutto, non ci sentiamo più superiori. Non si è più pieni di sé, si fa un bel bagno di umiltà.

Entrando in profondità nelle sfere più intime della persona, i ricercatori pare abbiano anche scoperto che quando si pensa in un’altra lingua a qualche evento traumatico del passato prodottosi durante la “vita in lingua madre”, il ricordo si fa più distante e meno doloroso.

Insomma, un po’ come accade per i buoni lettori – chi non legge vive solo una vita, chi legge ne vive tante – chi parla più lingue ha la possibilità non soltanto di vivere su più dimensioni, ma anche di relazionarsi in modo diverso con se stesso.

Gabriele Ferrante

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