Mentre in Italia all’indomani della crisi di Governo, i partiti sono già proiettati alle elezioni e ogni giorno discutono di leadership prima ancora che di programmi e di azioni per risanare il Paese o per frenare il riscaldamento climatico, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e tutta la squadra di Governo, ancora in carica per gli affari correnti, accelerano sulle misure di legge e sulle riforme legate al Pnrr per arrivare puntuali alle scadenze di dicembre e non mettere a rischio i finanziamenti europei.
Cosa accadrà a seguire, nel dopo Draghi? Quali probabilità ha il ministro Bianchi di essere riconfermato all’Istruzione? Possiamo fare solo qualche considerazione.
Sul fronte sindacale il ministro non gode di particolari simpatie, tanto da essere stato accusato, ad esempio, di condotta antisindacale, di recente, per la partita sulla mobilità, dalla Flc Cgil di Francesco Sinopoli e dalla Uil di Pino Turi. E quello della mobilità è solo uno dei fronti di scontro, considerando che la battaglia sul contratto e sugli incrementi salariali ad oggi non ha avuto esito. E in ogni caso si parla di aumenti che non superano i 120 euro per gli insegnanti, quando i sindacati ne chiedevano almeno 350 per portare i docenti al pari degli altri comparti pubblici.
D’altra parte, è anche vero che a favore del ministro Bianchi potrebbe giocare la necessità di garantire continuità sulle innumerevoli riforme della scuola legate al Pnrr: la riforma del reclutamento, quella della formazione, quella dell’orientamento, quella degli Its, quella degli istituti tecnici e professionali e quella del dimensionamento. Dall’Europa sulla scuola attendiamo tra i 17 e i 19 miliardi di euro, parte dei quali già arrivati. Il nuovo presidente del Consiglio dei ministri, nel fare la propria squadra, potrebbe decidere di non rischiare sull’istruzione e di mantenere la barra dritta, in vista della meta europea delle ultime tranche di finanziamento. Del resto il ministro Bianchi è un tecnico, non troppo legato ai partiti (ma ricordiamo che è stato assessore nella giunta di sinistra della Regione Emilia Romagna), e dunque potrebbe essere l’uomo giusto per ogni colore di Governo o quasi.
Ma storicamente come sono andate le cose? La tendenza dei Governi italiani un avvicendamento rapidissimo è stata tale anche sul fronte dei ministeri dell’Istruzione. Come riferito in un precedente articolo, negli ultimi undici anni abbiamo avuto nove ministri dell’Istruzione, ma possiamo andare indietro fino alla nascita della Repubblica per vedere confermata questa tendenza.
Tra un Governo e l’altro, è mai restato in carica uno stesso ministro dell’Istruzione? Talvolta sì: è accaduto a Gonella, restato in carica dal 1946 al 1951, con i vari Governi De Gasperi; ad Aldo Moro, a Giuseppe Medici, a Luigi Gui, tra i più longevi ministri dell’Istruzione (dal ’62 al ’68, passando per i Governi Fanfani, Leone e Moro); a Misasi, Malfatti, Bodrato, a Franca Falcucci, la prima donna al ministero dell’Istruzione, e ancora a Galloni, Iervolino, e più di recente (si fa per dire) a Luigi Berlinguer (in carica con Prodi e con due Governi D’Alema), per finire con Letizia Moratti (in carica con due Governi Berlusconi). Va detto che perché un ministro resti in carica a fronte di un cambio al vertice di Governo, naturalmente ci vuole un’affinità politica, intellettuale, di intenti, con il nuovo presidente del Consiglio.
Ad ogni modo, 12 ministri dell’Istruzione su 45 sono rimasti alla guida del ministero a dispetto del cambio di Governo. Quasi uno su tre. Accadrà anche a Patrizio Bianchi?
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