“Bisogna tornare a credere nella scuola pubblica, ovvero nella possibilità che la più importante istituzione della Repubblica, attraverso l’articolazione di un sistema di istruzione-formazione-educazione degnamente finanziato, sia messa nella condizione di svolgere appieno il ruolo che le spetta di diritto”, si legge così nel programma di Unione Popolare con De Magistris, partito rappresentato in ambito scuola da Massimo Arcangeli.
Tra i principali obiettivi del partito la cancellazione delle “nuove gerarchie (i docenti esperti), divisive e offensive del lavoro e della professionalità di migliaia di docenti”. E in allineamento rispetto ai programmi di tutti gli altri partiti, immancabile la richiesta di equiparazione degli stipendi degli insegnanti ai parametri europei, con un’indicazione in più: i finanziamenti sull’Istruzione provengano dalla riduzione delle spese militari.
1. La realizzazione della scuola della Costituzione, per la quale l’istruzione è l’unico mezzo per l’emancipazione dei futuri cittadini. La cultura è un bene comune primario che la scuola pubblica è chiamata a garantire e a diffondere senza distinzioni né tantomeno discriminazioni.
2. L‘equiparazione agli standard europei per i finanziamenti alla scuola e le retribuzioni del personale (con aumenti da far valere anche sul rinnovo del contratto in corso). La maggiore dotazione finanziaria a favore dell’istruzione dovrà provenire dalla riduzione delle spese militari, con interventi da attuarsi fin da subito. I costi per la difesa, aumentati negli ultimi anni, sono peraltro destinati a crescere ulteriormente sulla base degli accordi siglati in area Nato (con l’aumento della dotazione dei cacciabombardieri F35, per esempio, ognuno dei quali ci costerà in media circa 80 milioni di dollari).
3. Politiche d’intervento di sistema urgenti per affrontare il dramma della dispersione scolastica, particolarmente consistente nel Meridione. Ribadiamo il nostro netto NO all’autonomia regionale differenziata, che aumenta disparità e sperequazioni. Vogliamo una scuola diffusa, non una scuola falcidiata dai dimensionamenti.
4. L’incremento del tempo pieno, specialmente nelle regioni del Sud, e la riduzione del numero degli alunni presenti nelle aule, per risolvere il problema delle “classi pollaio”.
5. La radicale revisione degli apparati di formazione e di una “macchina” concorsuale basata sul mero nozionismo e sui test “a crocette”: devono essere prove tarate sul metodo, sull’esperienza, sulle capacità di ragionamento a decidere del futuro destino di chi abbia pensato di intraprendere la carriera dell’insegnamento; il docente non va “addestrato” in lucrose e inutili scuole di “alta formazione”, ma selezionato con rigorosi criteri rispettosi dell’esperienza acquisita sul campo e delle competenze possedute; la formazione degli insegnanti deve passare per percorsi flessibili e permanenti, segnati da uno scambio di riflessioni, di idee, di esperienze tra scuola, università e territorio finalizzato a un profondo rilancio della cultura e del suo valore civile e “politico” per il consolidamento della democrazia.
6. La stabilizzazione del personale precario, con l’istituzione di un doppio canale per tutti gli abilitati con almeno 36 mesi di servizio e l’entrata in graduatoria dopo un percorso abilitante speciale dai costi contenuti.
7. L’incentivazione della formazione sul territorio, con il diretto coinvolgimento delle scuole e con la dovuta attenzione da riservarsi alla rialfabetizzazone degli adulti.
8. L’allestimento di luoghi scolastici salubri, vivibili, agibili, sicuri, e senza barriere. Stop al mercato degli edifici affittati da decenni dai privati.
9. La sburocratizzazione del sistema d’istruzione, sommerso dai crescenti adempimenti burocratici scaricati sulle scuole per limitarne o ingabbiarne l’autonomia.
10. L’abolizione dell'”alternanza scuola-lavoro”, segnata da dolorosi lutti e incidenti, così come concepita dalla riforma della “Buona scuola”.
11. Una gestione della cosa pubblica in materia d’istruzione che sia all’altezza dei suoi compiti e dei suoi doveri istituzionali, in un’ottica di pubblico servizio garantito in tutta trasparenza all’intera cittadinanza.
12. L’incentivazione della sperimentazione didattica, strutturata e di lungo periodo, in una visione collegiale della scuola che ridefinisca nel profondo anche le pratiche valutative (sostituendo la competizione per il voto con la valorizzazione dei processi di apprendimento).
13. L’abolizione di qualunque vincolo temporale alle richieste di mobilità.
14. Una scuola dell’infanzia obbligatoria e gratuita sull’intero asse dell’offerta pubblica dei nidi e dei servizi educativi, e perciò da finanziarsi con investimenti strutturali, anche per superare le drammatiche e persistenti sperequazioni territoriali. La scuola è il luogo privilegiato in cui si diventa persone fin dalla tenera o tenerissima età, perché già in questa fase si impara a riconoscere e a condividere ciò che vuol dire stare insieme.
15. Il ripensamento delle modalità di erogazione di una didattica a distanza i cui fallimenti si sono ripetutamente toccati con mano, nonostante l’impegno delle scuole e delle famiglie, nei drammatici mesi della pandemia. A ciò si aggiunga la necessità di riattribuire il giusto peso alle riunioni collegiali in presenza, per una democrazia scolastica realmente partecipata, e di favorire l’attuazione di buone pratiche per l’inclusione.
16. L’istituzione di relazioni strutturali col mondo dell’università, all’insegna di un rapporto paritario e biunivoco fra didattica e ricerca in cui l’esperienza scolastica non venga subordinata all’esperienza di studio nell’accesso all’insegnamento.
I lettori della Tecnica della Scuola manifestano più di un dubbio circa la credibilità delle proposte elettorali, specie quella relativa al corposo aumento degli stipendi degli insegnanti. Ecco perché ancora una volta interpelliamo il mondo della scuola: pensate che i partiti manterranno la promessa e adegueranno davvero lo stipendio dei docenti ai parametri europei?
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