Finalmente, con le elezioni, sfuma la campagna elettorale. Forse la più strana, per chi ne ha seguite tante, per l’evidente stacco tra la realtà e le proposte, a volte anche velleitarie.
Per chi ha bisogno di una visita medica, per chi vive la scuola, per chi, nelle imprese e negli studi professionali, deve fare i conti delle utenze impazzite, per tutte le famiglie che sono (siamo) in ansia in vista dell’inverno, per chi vorrebbe capire se viviamo in un mondo libero e non soggetto ad infiltrazioni velenose: è evidente che non sempre il linguaggio della campagna elettorale è stato un parlare veritativo, al di là dei richiami di principio e di certi slogan.
Eppure non possiamo non andare a votare, non possiamo cioè non dire la nostra e decidere a chi affidare anche questa volta il nostro voto. A parte i fedeli o i fans dei vari leader, la gran parte sta decidendo in queste ore a chi dare il proprio consenso. Sperando di non sprecarlo.
E chi decidesse di non votare? E’ giusto che sappia che chi non vota, paradossalmente, in realtà il proprio voto lo dà lo stesso, perché favorisce chi vincerà. E’ come, cioè, se scegliesse in anticipo di affidarsi al vincitore di turno. Votare dunque conviene sempre.
Attraverso un voto, insomma, siamo costretti a dire la nostra opinione in un intreccio tra realtà e speranza. Sarà una fiducia mal riposta? Lo si vedrà più avanti, quando chi si troverà a governare dovrà fare i conti con quello che Freud chiamava “principio di realtà”, il quale costringerà tutti a tenere i piedi per terra.
L’ondeggiamento del consenso, in particolare degli ultimi anni, tra i vari partiti, compreso l’innamoramento temporaneo per questo o quel leader, ha prodotto un disincanto verso la politica che credo non si sia mai visto prima.
Sentiamo tutti di avere bisogno di alcuni orientamenti di fondo, di una luce che possa schiarire la storia che stiamo vivendo, eppure, a parte le minoranze ideologizzate dei vari schieramenti che credono ingenuamente di sapere tutto, sentiamo che incontriamo a volte solo parole, non capaci più di veicolare sostanza di vita comune, cioè istituzionale e sociale.
Sto osservando questa difficoltà anzitutto nei giovani. E penso qui ai diciottenni che da quest’anno hanno una responsabilità elettorale piena, perché voteranno sia per la Camera che per il Senato.
Mi chiedo, anche se so che non si può arrivare all’ultimo per questa forma di auto-aiuto: come posso aiutarli in concreto ad orientarsi, in modo corretto ed equo, a porsi le domande e a trovare qualche risposta vera e utile?
Le modalità di informazione, poi, incrociando fonti ed opinioni, non sono poi così difficili oggi. Ma ciò che manca è uno sguardo d’insieme, ed è qui che un politico si dimostra un leader, e non un venditore di fumo. Ma qui ognuno deve fare la sua parte. Senza fermarsi a considerare, come succede troppo spesso, una posizione solo in relazione alle tesi degli avversari. Perché non è giusto limitarsi, come voleva Carl Schmitt, a considerare la logica amico-nemico come la pietra fondante della scelta politica. Perché la vita stessa è più grande delle comode opposizioni, chiedendo invece la mediazione continua su una realtà che è sempre più, come si è più volte ripetuto, “fluida”, data da intrecci, interdipendenze, multi-appartenenze.
Se ci fosse tempo e volontà sarebbe, infine, importante, ai fini della scelta elettorale, ricostruire le linee fondamentali della storia da cui sono nate le vicende del ‘900 e quelle di questo ventennio. Ma è un discorso, questo, che chiede tempo, che domanda riflessione e dialogo continuo e aperto.
Se la stiva della nostra nave, cioè della nostra Italia, ha imbarcato acqua, sappiamo anche che i buoni marinai non perdono mai la bussola.
Sapranno questi marinai, una volta eletti, anche se figli di una brutta legge elettorale, non perdere la nostra bussola?
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