Dall’esito dei ballottaggi delle elezioni comunali esce un segnale inequivocabile: il M5S, è il caso di dire, sale in cattedra; Pd e destre fanno un bel passo indietro.
A poche ore distanza dal trionfo dei grillini, con Raggi e Appendinoche diventano prime cittadine di Roma e Torino, ci si interroga se questo esito dell’urna possa avere anche una valenza politica. E quali effetti diretti sulla scuola.
Diciamo subito che sul breve periodo non si avranno ripercussioni. Mentre sul medio-lungo, è molto probabile che vi siano.
A sostenerlo sono anche i politici. È lo stesso leader del M5S, Beppe Grillo, a dire che il suo movimento è pronto per governare anche a livello nazionale.
“L’aereo della missione impossibile è decollato e prenderemo quota. Dall’inizio ci hanno sempre detto: “È impossibile che ce la facciate”. Ora l’obiettivo è cambiare quota e puntare alla guida dell’Italia”, ha detto Grillo.
Sono interessanti le dichiarazioni pure di Roberto Speranza, esponente della minoranza del Partito Democratico. A CorriereLive, il deputato Dem ha detto che “c’è un segnale fortissimo dagli italiani che richiede una risposta politica che riguarda da un lato le nostre politiche: ha pesato o no la legge sulla scuola che portato in piazza 600mila insegnanti? Se togli la tassa sulla prima casa anche a un miliardario che messaggio dai alle periferie?”.
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Le parole di Speranza sono vere e proprie sassate sul suo partito. Ma costituiscono, oggi più che mai, un’amara verità. Lo stesso Renzi ha ammesso, solo qualche settimana fa, di aver vacillato di fronte alla forte opposizione del mondo della scuola, docenti in testa, alla riforma che ha portato alla Legge107/2015.
Il Governo ha invece avuto la forza di tirare dritto. Di far valere i suoi numeri in Parlamento. E di imporre i tanti punti avversi alla piazza: dalla chiamata diretta alla mobilità per ambiti territoriali e non più sulle singole scuole, dall’introduzione degli studenti, alle superiori, nel comitato di valutazione dell’operato dei loro prof, sino bonus premiale rivolto a pochi. Senza dare alcun segnale di adeguamento degli stipendi, se non un misero incremento inferiore ai 10 euro lordi.
Ora, però, sta arrivando il conto. E quello più salato, se non ci saranno i cambiamenti di rotta cui fa riferimento Speranza, arriverà alle prossime elezioni politiche. Anzi, già il referendum autunnale sulla riforma costituzionale potrebbe costituire un altra prova di insofferenza del “popolo” verso questo modo di procedere.
Per il Pd la “campanella” è suonata, tanto per rimanere in campo scolastico (anche se sarebbe il caso di dire l’allarme), stavolta più forte che mai: sta al partito ora decidere se continuare ad andare verso il dissenso sicuro (ricordiamo che la scuola può davvero rappresentare l’ago della bilancio a livello di elezioni politiche, visto che in qualche modo influenza milioni di voti) o se fare tesoro degli errori fatti. E correggerli. Magari, attraverso i decreti attuativi della Legge 107 e le norme a seguire. Sapendo anche che potrebbe pure non bastare.
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