Categorie: Politica scolastica

Elezioni europee, quattro questioni in tema di educazione

Come cittadina, ho il dovere di interessarmi ai programmi delle diverse coalizioni che si presenteranno alle Elezioni Europee del 26 Maggio 2019. I cittadini pensano, leggono, valutano e scelgono. La conoscenza, la cultura, la formazione devono essere il fondamento del dialogo con le Istituzioni, se si vuole che la “Res-Publica” sia davvero tale.

I programmi politici, da sempre, offrono ampio spazio alla povertà e al disagio. Una povertà abissale e senza speranza è quella culturale, che è causa ed effetto di varie forme di ideologia, radice di ogni male. Conseguentemente, da parte dei cittadini consapevoli – poveri e non – il diritto da difendere è quello della libertà di scelta educativa da parte dei genitori, anche nullatenenti, diritto riconosciuto in tutta Europa, ad eccezione della Grecia e dell’Italia.

 Le consapevolezze raggiunte in questi ultimi anni hanno mostrato chiaramente a tutti quanto il comparto scuola sia indispensabile. E non c’è riforma sensata della scuola che non passi dalla rivisitazione dei costi: per uscire dal diffuso clima omertoso che da anni alimenta l’ingiustizia e legittima l’inerzia, si domandano chiarezza e trasparenza.

Sappiamo per esperienza che le soluzioni ispirate alla medesima logica dei problemi che hanno generato il disastro non soltanto non sono praticabili, ma – peggio – lasciano un amaro senso di frustrazione e tendono a convincere che non ci sia più nulla da fare. Pensiamo a chi ha creduto che tutti i docenti precari avrebbero ottenuto magicamente un posto, o che si sarebbe potuto accedere a scuola senza vaccino in forza di una superiorità della promessa politica sui NAS; pensiamo a chi si è illuso che, per risolvere il problema della scuola, bisognasse tagliare i contributi “milionari” alla paritaria, salvo poi verificare, sulla base di studi laici, anzi laicissimi (caso mai la fede potesse rendere meno obiettivi…), il contrario.

Infatti, lo studio degli economisti di Civicum con Deloitte, pubblicato sul Corriere della Sera il 23 settembre 2018, lo dice chiaramente, numeri alla mano (a conferma dei dati riportati nello studio Il diritto di apprendere, Giappichelli 2015): un allievo della scuola pubblica statale costa ai cittadini, in tasse a loro carico, 10 mila euro annui, mentre un allievo che frequenta la pubblica paritaria (conseguendo, in molti casi, risultati brillanti, riconosciuti da Eduscopio 2018) costa ai cittadini, in tasse, solo 480 euro. Ergo, le scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro annui.

Quattro punti all’attenzione dei Candidati:

 1a Questione – Oggi gli studenti sono discriminati, per ragioni economiche, nel loro diritto di apprendere. In questo aspetto l’Italia è totalmente fuori dall’Europa. Chi lo nega mente, sapendo di mentire. Infatti, sono i genitori che hanno il diritto di «istruire ed educare i figli» (art. 30 della Costituzione), il diritto «di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli» (art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Gli Stati europei sono dunque tenuti a «rispettare il diritto dei genitori di provvedere nel campo dell’insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche» (art. 2 della Convenzione Europea sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Tutti lo fanno, tranne l’Italia e la Grecia.

 2a Questione – Ciò premesso, la libertà di scelta educativa necessita di un pluralismo educativo composto da scuole statali (attualmente frequentate da 7.682.635 studenti) e scuole paritarie (attualmente in numero di 12.662, frequentate da 879.158 studenti), entrambe pubbliche di diritto e di fatto, tant’è che le paritarie licenziano migliaia di allievi con titolo equipollente ai compagni della statale. L’esistenza della sola scuola pubblica statale comporterebbe un monopolio educativo e la Repubblica cederebbe il passo al Regime. È evidente che la chiusura di 380 scuole paritarie all’anno costituisce allora un allarme sociale, perché, di questo passo, nel giro di sei anni ci saranno solo scuole statali e le poche paritarie sopravvissute avranno una retta dai 5mila euro in su…improponibile per il genitore povero. Per contro, avremo perso un patrimonio storico e culturale enorme, che ha contribuito a sanare l’Italia del dopoguerra: le piccole, sane scuole paritarie accessibili ai più, quelle cioè con retta inferiore ai tremila euro.

3a Questione – Stride maggiormente, semmai fosse possibile, la discriminazione perpetrata ai danni dell’allievo disabile. Per lui c’è posto nella scuola statale, dove il docente di sostegno è assicurato (…appena si trovano i 50mila che mancano). Ma, se prende sul serio la legge 62/2000 e sceglie la paritaria, ecco che lo Stato italiano lo ripudia: «Il docente di sostegno se lo paghi lui! Oppure lo paghino le altre famiglie, o la scuola!». Però i 40 mila euro annui necessari non sono noccioline, e le scuole sono costrette a chiudere… Chiunque abbia un po’ di razionalità e di senso civico rabbrividisce di fronte a questa situazione, perché si tratta chiaramente di un capolavoro di ingiustizia, che appare giusta senza esserlo. Eppure, c’è ancora qualcuno che dagli schermi TV rimprovera la scuola paritaria di accogliere pochi disabili e stranieri, e di far pagare la retta. Da non credere: le si attribuisce la responsabilità di un’ingiustizia che essa per prima subisce!

4a Questione – L’ingiustizia produce sempre altra ingiustizia, a catena: ciò risulta evidente qualora si consideri la discriminazione professionale dei docenti. Sono, infatti, esclusi dal “concorsone” indetto dal Ministero dell’Istruzione anzitutto le maestre ed i maestri delle scuole paritarie, primarie e dell’infanzia, che hanno concluso gli studi entro il 2001/2002. Ma non basta: alla prova possono partecipare soltanto coloro che hanno lavorato per almeno 36 mesi negli ultimi otto anni nelle sole scuole statali; pertanto sono esclusi i docenti delle scuole paritarie, con la conseguenza di una grave discriminazione professionale a danno di duemila lavoratori che, con gli stessi titoli dei colleghi statali, hanno prodotto gli stessi effetti: alunni regolarmente promossi e inseriti nel Servizio Nazionale di Istruzione. Questo concorsone, che avrebbe l’obiettivo di fermare il precariato, in realtà farà diventare precario chi non lo era mai stato prima!

I candidati alle elezioni europee, che si presenteranno in un consesso dove tali questioni sono felicemente risolte da anni, non possono sottrarsi, nel redigere i propri programmi elettorali, alla responsabilità di prospettare soluzioni reali alle questioni sopraelencate sulle quali l’Europa ha le idee chiare. Auspicando che spieghino con chiarezza agli elettori quanto intendono fare in proposito, chiedo, in sintesi, che vengano garantiti: 1) il diritto degli alunni a studiare in buone scuole pubbliche – statali & paritarie – senza alcuna discriminazione economica; 2) il pluralismo educativo in Italia, garantito da scuole veramente buone, pubbliche statali e pubbliche paritarie, entrambe certificate dallo Stato, come avviene in tutta Europa; 3) il diritto dei docenti, a parità di titolo e stipendio, di scegliere se insegnare in una scuola pubblica statale o pubblica paritaria, come pure avviene nella Comunità europea.

 Ricerche accurate hanno già ampiamente dimostrato che l’unica strada possibile per uscire da una situazione già drammatica, sia per la scuola pubblica statale che per la pubblica paritaria, è quella di riconoscere alla famiglia il suo diritto di educare liberamente i figli. Come? Attraverso il costo standard di sostenibilità: esso prevede che alla famiglia venga data una quota (di circa 5.500 euro annui per studente) da spendere per l’istruzione dei figli. Sarà poi la famiglia stessa a decidere dove spendere tale quota, se in una scuola pubblica statale o in una scuola pubblica paritaria. Il ruolo dello Stato in tutto questo? Quello di garante e controllore, non di gestore e controllore… di se stesso! Persino il MIUR, notoriamente elefantiaco, si è mosso aprendo un tavolo sul costo standard di sostenibilità per allievo, senza il quale – lo sanno bene gli Amministrativi del Ministero – andiamo velocemente verso il tracollo della scuola pubblica statale tutta, perché la spesa è notoriamente fuori controllo.

 Non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio. Il costo standard costituisce da questo punto di vista l’unica risposta possibile, onesta e di buon senso, capace di innescare un meccanismo virtuoso di garanzia dei diritti riconosciuti, a costo zero. Questo l’impegno concreto richiesto all’Italia che vuole stare in Europa. Tertium non datur.

Anna Monia Alfieri

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