Le elezioni delle RSU nelle scuole si avvicinano, ma non tutti i sindacati vi partecipano ad armi pari. In un articolo precedente abbiamo esaminato la legge sulla rappresentatività sindacale, che preclude ai sindacati “non maggiormente rappresentativi” ogni speranza di diventarlo. Ciò è ancor più vero, se si pensa alla soglia che un sindacato deve raggiungere per diventare, appunto, rappresentativo “maggiormente”: una media del 5% tra voti e iscritti. Significa, per un sindacato, esser “maggiormente” rappresentativo anche a voti zero: basta che il sindacato in questione sia nato tanti decenni fa ed abbia, perciò, almeno il 10% dei sindacalizzati (perché 10% : 2 = 5% di media). Significa invece, per un sindacato nuovo (ovviamente povero di iscritti), non aver la “maggiore” rappresentatività nemmeno col 9% dei voti). Anche perché ai sindacati di recente formazione è negato il diritto di assemblea in orario di servizio, pur dovendo essi presentare 8.400 liste, anziché una sola lista nazionale (o una per ogni provincia).
Ebbene: indovinate un po’ come si chiamano i tre sindacati che hanno “per natura” almeno il 10% di iscritti?
Caso fortuito, naturalmente: chi mai potrebbe esser tanto malfidato da pensare che il legislatore abbia voluto fare una legge su misura per loro? Meglio pensare ad uno scherzo cinico e baro della cieca Fortuna.
Sta di fatto che tutti i sindacati (di base, guarda caso) che, nati dopo i suddetti, non hanno questo requisito, sono esclusi da ogni possibilità di rappresentare i lavoratori nelle trattative; non solo a livello nazionale, ma persino nelle province ove ottengono la maggioranza dei voti o delle deleghe (alla faccia del federalismo, di cui tutti i Governi si dichiarano convinti sostenitori).
Come si vede, ad esser danneggiati non sono tanto i sindacati alternativi, quanto i lavoratori, di fatto non più liberi di farsi rappresentare da chi vogliono.
Uno dei maggiori meriti della Repubblica fu il ripristino, dopo il ventennio fascista, delle libertà sindacali. Ebbene, l’attuale legge sulla rappresentanza sindacale ha divorato queste libertà, non proibendole, ma rendendole illusorie. Un dispotismo de facto, ma “democratico”, perché fondato su “libere” elezioni.
Ebbene, di questa democratica tirannide si sono mai accorti i tanti che blaterano in tv sulla legge elettorale per le elezioni politiche? Si scandalizza mai qualche “intellettuale” della mancanza di democrazia nel mondo del lavoro? No. Come mai? Forse perché il controllo su un popolo lo si ottiene controllando le persone sul loro posto di lavoro? Forse perché una vera democrazia sindacale permetterebbe l’inizio di un cambiamento vero in questo Paese? Forse perché i sindacati che marciano alla testa dei lavoratori sono emissione diretta dei partiti al potere?
Solo in Italia (si badi bene) esiste una legge sulla rappresentanza sindacale così illiberale. In Francia, ad esempio, i nostri maggiori sindacati di base sarebbero pienamente rappresentativi, ed avrebbero distacchi, aspettative sindacali e tutti i diritti che da noi sono per legge garantiti unicamente ai soliti noti. Se fosse così anche da noi, però, i Governi avrebbero meno chance nel tentare continuamente di esautorare gli organi collegiali, di trasformare i Consigli d’Istituto in consigli d’amministrazione, le Scuole pubbliche in aziende private, i Collegi dei Docenti in consigli consultivi e la Scuola tutta in “mercato”.
Fu col plauso dei sindacati “più rappresentativi” che la sedicente “autonomia scolastica” tolse ai docenti il diritto di eleggere il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (nel 1997) ed i Consigli Scolastici Provinciali (nel 2000). Solo nel 2015, infatti, il Consiglio di Stato ha obbligato il MIUR ad indire le elezioni del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione: e non a caso in quelle elezioni, potendo presentare liste nazionali (e con diritto di assemblea), i sindacati di base hanno superato di gran lunga i voti dei sindacati maggiori in diverse province.
Eppure la rappresentatività continua ad essere misurata solo sulle elezioni delle RSU. E senza concedere assemblee in orario di servizio ai sindacati di base. Nemmeno nelle scuole in cui un sindacato di base ha un numero di iscritti pari alla metà dei docenti e degli ATA. Nemmeno nelle scuole in cui una o più RSU (persino del medesimo sindacato di base) chieda di tenere l’assemblea stessa: e sebbene ciò violi patentemente l’art. 20 dello Statuto dei Lavoratori (base fondante d’ogni successiva norma sul lavoro), secondo il quale le assemblee «sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità produttiva».
A volte, per fare una rivoluzione, basterebbe applicare una legge, eliminando tutte le norme e gli accordi successivi che la disapplicano e la vanificano con intenti reazionari e autoritari. Comprendere questo sembra un piccolo passo per la mente umana, ma sarebbe un grande passo per la liberazione della Scuola.
Alvaro Belardinelli
Esecutivo Nazionale di Unicobas Scuola & Università
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