Il supplente? Non si può eliminare dalla scuola e anche se si adottasse un organico supergonfiato, con la turnazione, mettiamo annuale, nella funzione di copertura degli assenti, la casualità delle malattie, della loro durata, delle gravidanze e dei permessi speciali è tale che il buco della classe “scoperta” rimarrà sempre, per cui è giocoforza “chiamare” i supplenti.
Il Sussidiario.it esplora un argomento delicato, sottolineando che la supplenza, oltre ad essere dolorosa per i prof lo è altrettanto per gli alunni, per il personale di segreteria dove una persona è generalmente addetta quasi esclusivamente alla ricerca dei supplenti (quanto costa questo?), dolorosa per la qualità del corpo docente costantemente rimpolpato, ope legis, con precari spesso inadeguati, invecchiati, e a volte temprati, altre inaciditi da anni di tappabuchismo.
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La “Buona Scuola” ha dichiarato di voler mettere fine al fenomeno, ma come fare per eliminare il “precario”, che in tre anni si trasforma in “avente diritto”, con tutta la sequenza di atti dovuti, di contenzioso giudiziario a livello nazionale ed europeo, di assunzioni fatali ma non adeguate?
Ed ecco la soluzione ventilata: esternalizzare la supplenza. A parte le possibili critiche, Il sussidiario sostiene che proprio assegnando ad enti o professionisti esterni alla scuola il compito di coprire i buchi delle assenze del personale statale si creerebbe un circolo virtuoso ed utile delle supplenze.
Il supplente dovrebbe essere un normale laureato che, assunto da una cooperativa di servizi o agendo tramite una personale partita Iva, erogherebbe nella singola scuola la supplenza, emettendo una fattura al termine del servizio. La scuola pagherebbe le supplenze con normalissimi mandati di pagamento senza oneri previdenziali, contabilità complicate e fascicoli personali sempre crescenti ed ingombranti.
In breve tempo si creerebbe, all’esterno della pubblica amministrazione e senza gravare su di essa, una dinamica di domanda-offerta del personale docente alla quale si affaccerebbero immediatamente e facilmente tutti i laureati. Il rapporto vero e concreto con la realtà scolastica sarebbe un momento di verifica personale per coloro che intendono davvero fare gli insegnanti e cercano conferme ad una generica vocazione. Allo stesso tempo sarebbe di forte dissuasione per coloro che non hanno alcuna tensione e capacità educativa e didattica, e per i quali non avverrebbe in alcun modo la nascita di “diritti acquisiti”.
L’assunzione stabile nel ruolo di insegnante statale avverrebbe solo per concorso, un concorso aperto a tutti che sicuramente i supplenti provati nelle esperienze suddette affronterebbero con grande consapevolezza.
Anche i corsi di formazione universitari potrebbero posizionarsi su quest’area di “tirocinio” retribuito, che anzi potrebbe costituire un gradino utile per costruire percorsi di formazione non stravaganti.
Per il singolo istituto la chiamata del supplente avverrebbe con semplicità, senza automatismi squalificanti, ma facendo tesoro delle prove evidenziate nel tempo dai singoli “fornitori” o dalle società o cooperative di servizi che graviterebbero nell’orbita della scuola. Un’area vivace di professionalità crescenti, con un giro di attivi pari alle 100-150mila persone, giuridicamente e fiscalmente in ordine, con una adeguata copertura economica.
I vantaggi per la stabilità degli istituti e per la tranquilla gestione del personale di ruolo mi sembrano evidenti, ma ne sarebbero avvantaggiati anche gli ex precari inseriti subito dopo la laurea in una vicenda chiara ed in moltissimi casi appagante.