Da mesi il cittadino è investito da ventate di fiducia, autorevolmente asserita in molteplici occasioni, nella assoluta capacità economica dello Stato (e a cascata di Regioni, Province e Comuni) di provvedere a tutte le necessità: dai ponti ai muri di contenimento, dalla ricostruzione post terremoto alla salvaguardia dei beni culturali, dalle grandi opere infrastrutturali – solo però squisitamente italiane – alla messa in sicurezza del territorio, e naturalmente alle necessità della Scuola in tempi di emergenza educativa (psicologi, educatori, assistenti sociali, classi a numero limitato, diffusione dei plessi sul territorio, docenti seri, motivati e ben formati, controlli antidroga, telecamere, …).
Non sia mai che i privati osino farsi avanti. Il guadagno è (chiedo venia, ma l’espressione è un classico) lo sterco del diavolo e lo Stato repubblicano deve gestire in proprio (e anche controllare…) tutta l’attività economica, sociale, sanitaria, culturale quotidiana dei Cittadini. In una parola, la loro educazione. Anche civica.
Ma, in un sussulto di resipiscenza, favorito probabilmente dalle notizie accavallatesi di molteplici episodi delinquenziali da parte di singoli e di bande di minorenni, arriva la briciola che riconosce che, insomma, la famiglia ha un ruolo non solo da esibire su maglietta a favore delle telecamere.
Infatti l’articolo 7 del DDL 1264 del 2 agosto, approvato dal Senato, stabilisce che la scuola rafforzi la collaborazione con le famiglie al fine di valorizzare l’insegnamento trasversale dell’educazione civica e di sensibilizzare gli studenti alla cittadinanza responsabile: “Al fine di valorizzare l’insegnamento trasversale dell’educazione civica e di sensibilizzare gli studenti alla cittadinanza responsabile, la scuola rafforza la collaborazione con le famiglie, anche integrando il Patto educativo di corresponsabilità di cui all’articolo 5-bis del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, estendendolo alla scuola primaria”.
E’ l’ulteriore riconoscimento del principio di diritto che sembra uno sprazzo di luce, eppure ha il sapore dell’ennesima occasione persa. Sono le briciole che cadono dal tavolo per tenere buoni i figliastri, perché cosi ogni tanto si quietano.
D’altronde, avendo essi ricevuto per anni solo le briciole, si accontentano e non sanno che potrebbero sedere a tavola e mangiare la torta… una bella fetta tagliata anche per loro.
Si arriva, però, ad un punto in cui non si ha più nulla da perdere e allora si è disposti a rinunciare anche a quelle briciole perché se si muore di fame si muore ancor più di mancanza di libertà.
La coerenza si fa strada sulla base del principio di non contraddizione: se la famiglia c’è, c’è sempre.
Il 2 agosto u.s. il Senato ha approvato definitivamente la legge che istituisce l’insegnamento trasversale dell’Educazione Civica nel primo e nel secondo ciclo di istruzione e che prevede l’avvio di iniziative di sensibilizzazione alla cittadinanza responsabile nella scuola dell’infanzia. Questo risponde certamente ad un’esigenza largamente sentita nella società civile, confermando, nel contempo, il cambiamento radicale in atto nella scuola italiana, che vede un’attenzione sempre più marcata agli aspetti educativi e ai comportamentali dei ragazzi, che comunque hanno radici nel contesto familiare…
Ora, le medesime circostanze socio-culturali che suggeriscono di porre l’accento sull’educazione degli allievi impongono anche di rinsaldare l’alleanza tra istituzione scolastica e famiglia. Infatti, come sancito dalla nostra Costituzione (art. 30) e dalle più importanti Carte internazionali, il primato in ambito educativo spetta ai genitori. Sta qui la base dell’educazione “civica”: il “cives”, il cittadino, è prima di tutto il membro di una famiglia umana, che è la cellula della “societas”. Tanto è vero che chi resta orfano viene “affidato” o “adottato” (si spera con le giuste modalità…) ad un’altra famiglia, oppure ad una “casa famiglia”.
Non si può, dunque, non guardare con favore alla conquista di civiltà segnata dalla nuova legge, che esplicita, per la scuola, la necessità di trattare tematiche rispettose delle scelte dei genitori, rafforzando la collaborazione con le famiglie, provvedimento in linea con le ultime dichiarazioni del MIUR a proposito del coinvolgimento dei genitori (cfr. nota n. 19354 del 20/11/ 2018).
Coerenza per coerenza, se chi ha votato a favore ha davvero a cuore i cittadini, lo faccia con lo spirito dei costituenti.
I nostri padri fondatori avevano immaginato una Costituzione che volasse alto. Gli ideali della politica erano elevati: il diritto allo studio, alla libertà di pensiero e di parola, il diritto alla salute, il diritto all’associazione.
L’Italia aveva ancora fresche le ferite della guerra: non ci si poteva permettere una semplificazione che giocasse al ribasso. E, mentre puntavano in alto, i politici ascoltavano seriamente la base, che è poi la famiglia, nucleo fondante dei valori per le giovani generazioni: solidarietà, rispetto, pazienza, generosità, impegno, condivisione.
Sono questi i valori che la Scuola deve accogliere e fare propri, più che “insegnarli”…
Lo Stato, che riconosce per legge il diritto alla libertà di scelta dei genitori e al pluralismo educativo, dovrebbe anche garantirli, questi diritti, come avviene in tutti i Paesi europei, e potrebbe farlo a costo zero, come ampiamente dimostrato, attraverso il costo standard di sostenibilità.
Preferisce, invece, spendere molto e molto di più, perché l’alternativa sembra complessa, richiede studio e competenza… Meglio semplificare, anche a costo di discriminare i genitori, e in particolare le fasce più deboli, con un sistema scolastico dai costi elevati e fuori controllo. Nessuno stupore: la discriminazione di solito non fa affatto risparmiare. E puzza di razzismo: «Qui poveri e disabili non entrano» potrebbe essere il paradossale cartello di benvenuto nella scuola pubblica paritaria….e forse anche nella pubblica statale, visto il trattamento riservato ai disabili!
Ci si può domandare che cosa ne pensino i nostri politici, loro che – ben stipendiati dai genitori italiani – possono scegliere la buona scuola pubblica paritaria per i propri figli senza battere ciglio. Si può chiedere a tutti i docenti – pubblici statali e pubblici paritari – se desiderano ottenere il rispetto della loro professionalità, per il bene delle generazioni future. E si può domandare alle famiglie se, a loro parere, sia giusto che i genitori italiani paghino 10.000 € annui per l’istruzione del figlio in un istituto in cui poi mancano carta igienica e docenti, per il fatto che non si ha l’intelligenza di rivendicare una giusta autonomia e una buona gestione.
Si è proprio certi che sia giusto indebitarsi per sfamare il povero e non per educarlo alla libertà? Infatti alla libertà ci si educa.
Il passaggio fondamentale è ora fornire alle famiglie lo strumento per scegliere dove educare i propri figli, nell’alveo della buona scuola pubblica, paritaria e statale. È evidente che la libertà di educare non è “acquistabile” a nessun prezzo e che quindi, per il suo esercizio, deve essere garantita la libertà economica. Per far questo è necessario riconoscere a ciascuno studente una dote, pari ad un costo standard di sostenibilità, ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere ad ogni scuola pubblica – statale e paritaria – sulla base di parametri certi.
Chi si sente legittimato ad insabbiare il problema altro non fa che discriminare. E se chi discrimina è lo Stato, è proprio finita.
Il popolo direbbe: «Alla faccia dell’Educazione Civica!».
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