Studenti che picchiano i loro prof. Genitori che si scagliano sui docenti che si “permettono” di rimproverare il figlio. Tra i nuclei familiari più in difficoltà o deprivazione culturale, sembra essere diventata quasi una “moda” quella di aggredire, anche fisicamente, l’insegnante non considerato all’altezza. La scarsa considerazione nei suoi confronti si esprime anche nella mura domestiche, dove i giovani fanno proprie le critiche verso i loro docenti. E in fase di contraddittorio le riversano contro il “nemico”.
Il tema è diventato dominante. Anche tra le massime istituzioni. Ne ha parlato la ministra dell’Istruzione uscente, Valeria Fedeli, il giorno dopo avere consegnato l’onorificenza di Cavaliere, concessa dal capo dello Stato, alla professoressa Franca Di Blasio, sfregiata da un suo alunno.
In una lettera al “Messaggero”, la titolare del Miur scrive che “la scuola è il luogo della nostra società per natura più lontano dalla violenza. La contrasta con l’educazione alla cittadinanza attiva e al rispetto. E la ripudia in qualsiasi forma essa si manifesti e chiunque sia a commetterla”.
“La violenza è riuscita a farsi largo e a penetrare all’interno delle comunità scolastiche”, con le aggressioni ai docenti da parte di studenti e genitori.
“Partendo dalla vicenda di Franca Di Blasio – afferma Fedeli – e dagli ultimi casi di docenti aggrediti da genitori dei loro alunni, faccio un appello alle famiglie e alla società tutta: un appello al rispetto come valore centrale per la società e per la scuola”.
“Non servono nuove leggi, le leggi contro chi compie violenza esistono già – osserva -. Lavoriamo, piuttosto, con intensità e determinazione, per produrre un cambiamento sociale e culturale profondo”.
“Lo scorso ottobre – ricorda – abbiamo lanciato il Piano nazionale per l’educazione al rispetto” e “abbiamo poi rilanciato il Patto di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglie”.
“Denunciamo gli atti e i comportamenti violenti che possono verificarsi all’interno della scuola. Non minimizziamoli mai”, conclude la ministra.
Il tema della violenza nelle scuole è stato toccato anche dalla segretaria Cisl Scuola, Maddalena Gissi. Durante un convegno a Palermo, sul tema “La scuola del territorio, la scuola della comunità”, alla presenza, tra gli altri, del sindaco di Palermo Leoluca Orlando e del dirigente generale dell’Usr Sicilia Maria Luisa Altomonte, la Gissi ha detto che servirebbe “un abbraccio alla scuola: un gesto di affetto che va oltre la solidarietà verso gli insegnanti colpiti nei giorni scorsi da atti di violenza, per sottolineare la necessità di rafforzare l’indispensabile alleanza tra scuola, famiglie, società”.
È l’ora di introdurre, ha continuato la sindacalista, “un modello di scuola molto diverso da quelli a lungo vagheggiati negli anni scorsi improntati a dirigismo, individualismo, esasperata concorrenzialità, con riflessi evidenti anche in tanta produzione legislativa”.
“Il problema – ha continuato – non è della scuola, è di una società che sta progressivamente perdendo il senso di quella funzione educativa che non è soltanto delle istituzioni finalizzate esplicitamente a questo scopo, ma anche di tutti gli attori che hanno il dovere e la responsabilità di prendersi una qualche forma di cura delle nuove generazioni, cioè dei propri figli, cioè del futuro. Questo è un compito di tutti: di ogni adulto, di ogni gruppo, di ogni istituzione, di ogni attore che ha potere di influenza su idee, modelli e stili di vita dei giovani”.
Secondo la Gissi, occorre dare vita a momenti in cui insegnanti, studenti, genitori, cittadini circondino fisicamente la propria scuola, stringendola in un abbraccio solidale e affettuoso. “Ho chiesto alle mie strutture territoriali di contattare soprattutto le associazioni dei genitori, di promuovere il coinvolgimento degli studenti e delle altre organizzazioni sindacali”.
Anche secondo il leader della Uil Scuola, Pino Turi, “i fatti di cronaca sono effetto della politica sbagliata. Serve un’inversione di tendenza. Quando si trasforma la scuola della Costituzione in un servizio a domanda individualizzata, basato su un modello aziendalista, e i clienti del servizio ritengono di avere un diritto, se non sono soddisfatti, reagiscono anche in questo modo”.
“Gli episodi gravi di insegnanti aggrediti da studenti e genitori, sono segno di un modello di scuola che non risponde più alla sua funzione essenziale. I genitori non sono clienti da accontentare”, continua Turi.
“La deriva è iniziata quando sono stati ignorati i valori fondanti dei decreti delegati degli anni ‘70. A partire dagli anni ‘90 in poi si è cercata una connotazione diversa per la scuola. Ora bisogna ridarle dignità. E non si tratta solo di dare dei soldi ai nostri insegnanti. I soldi sono importanti – aggiunge – ma pensare che siano l’unico obiettivo è un errore. Ridurre la funzione insegnante a prodotto da erogare sul mercato è cosa alla quale non intendiamo né pensare, né rassegnarci. Siamo fortemente contrari al modello proposto dalle logiche neo liberiste”.
Secondo il sindacalista, “nell’età evolutiva il bambino vede nella maestra la figura di cui fidarsi. Se la figura viene screditata dalla scuola e dalla società quel bambino avrà poi delle difficoltà da adulto.
Serve un rapporto più forte tra scuola e famiglia, ci vuole consenso e fiducia nei confronti della scuola.
E invece in questa fase la scuola è stata trasformata in un’agenzia con una finalizzazione: trovare il lavoro agli studenti”.
“La scuola statale ha una funzione molto più ampia – quella richiamata dalla Costituzione che le affida il ruolo di garanzia dei diritti universali, non quello di soddisfare esigenze immediate o lobby interessate. Ha la funzione di garantire un insegnamento libero, portare ad un pensiero critico”, conclude il sindacalista.
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