Politica scolastica

Emergenza educativa e conoscenza. Il sapere del prof e la considerazione sociale

Emergenza educativa? Sicuramente esiste ma non si dia la colpa solo ai ragazzi e alle famiglie, a cui nessuno tuttavia vuole togliere le dovute e forse pure gravi responsabilità. Non sta solo lì il problema. Talvolta, al di là dei sociologismi di maniera, occorrerebbe pure riprendere i vecchi classici e uno fra i più interessanti ci pare il vecchio Gramsci quando affrontava il problema del ruolo dell’intellettuale nella società moderna. Ma anche la poetica di Brecht può venire incontro, col teatro didattico per indurre a riflettere le masse e guidarle così  alla corretta percezione del loro ruolo. 

Se infatti si leggono con occhio critico le tante indignate proteste di docenti e genitori si coglie sempre una sorta di nostalgico rimpianto verso il passato, quando il rispetto, la considerazione sociale nei confronti del maestro era assoluta, quasi sacra. 

Ma fino a trent’anni fa (e si era già al crepuscolo) non poteva essere altrimenti perché il rappresentate certo della cultura, il commesso del sapere,  era proprio il maestro che sapeva praticamente tutto, anche perché possedeva i mezzi di informazione ed era al corrente, tramite i pochi giornali o le scarse notizie alla radio, dei movimenti culturali, politici e sociali che navigavano nel mondo. E al maestro del paese ci si rivolgeva talvolta per leggere o scrivere una lettera al parente lontano della cui residenza geografica non si aveva spesso conoscenza: l’America dov’è? E l’Oceano? Da questi elementari saperi nasceva il prestigio dell’uomo di cultura che a tutto dava risposta, come lo stregone nelle società primitive, assumendo così un ruolo che ancora solo i politici riescono a detenere proprio perché gestiscono sapienze (e poteri) di cui tutti gli altri non potranno mai accaparrarsi. 

Se si sposta il discorso alla scuola del terzo millennio si capisce che il maestro non ha più questa sorta di carismatico dominio, quello dello stregone nella tribù, e non solo perchè le informazioni sono alla portata di tutti ma anche perché i destinatari delle innovazioni più importanti sono diventati per lo più i giovani, quegli alunni a cui si insegna chi è  Castruccio Castracani o l’uso della consecutio temporum. 

In altre parole, gli alunni hanno capito che senza Dante si può felicemente vivere e per usare i social la consecutio temporum non serve, come per trovare lavoro. Ma la cosa che di più depone contro il prestigio del maestro è la sua latente abulia a comprendere  il mondo d’oggi, ma dal punto di vista del ragazzo e degli strumenti che egli ogni giorno adopera. 

Ci spieghiamo meglio.

C’è un bellissimo racconto di Giovanni Mosca del 1940 il quale, nel ruolo di maestro in una quinta elementare di bulli facinorosi, riesce a dominarli al suo primo giorno di scuola allorché con una fionda rudimentale, presa a un ragazzo, colpisce a volo un calabrone. Con quel gesto il maestro ha tolto ai suoi allievi l’unica presumibile conoscenza-abilità che loro hanno in più nei suoi confronti. Li ha battutti sul loro stesso campo. Da quel momento può imporre la sua presenza e quindi la cultura borghese di cui i ragazzi hanno più bisogno.

Il ruolo dell’intellettuale-docente per certi versi è anche questo: anticipare il sapere e gestirlo per ammaestrare, come il teatro politico di Brecht. E allora, fino a quando i maestri a scuola non saranno in grado di saperne di più dei loro alunni rischieranno sempre un velo di sconfitta.  

E’ un invito a nozze per un bulletto provocatore sfidare il suo docente e per questo il professore dovrebbe vigilare di più anche su quel mondo apparentemente sotterraneo dei suoi allievi  e quando il caso si presenta, come quel calabrone descritto da Mosca, scagliare la pallina di carta con la fionda, centrando l’obiettivo. E siccome il maestro, in qualità d’intellettuale, sa che l’autorevolezza scatta anche dalla detenzione di queste conoscenze, non può esimersi dall’aggiornarsi né di smarrire la sua vigilanza e il controllo dei saperi; né tantomeno può limitarsi a piangere o ridere o denigrare perché la sua mission è soprattutto quella di capire gli alunni e il loro straordinario mondo 

Pasquale Almirante

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