Con l’incalzare davvero preoccupante e drammatico degli episodi di violenza, bullismo, minacce nei confronti di docenti, oggi ci si accorge che esiste una emergenza educativa e che la figura dell’insegnante ha perduto agli occhi dei discenti e spesso purtroppo anche delle famiglie il rispetto e l’autorevolezza che aveva un tempo. Ma c’è da interrogarsi sul perché ciò è avvenuto, a parte il “degrado” di valori che purtroppo investe tutti gli ambiti della collettività e inquina la convivenza civile.
La denigrazione degli insegnanti e del loro ruolo negli ultimi anni
Negli ultimi due decenni chi era preposto a tutelare gli insegnanti poco ha fatto, anzi spesso (compresi esponenti istituzionali) ha fortemente contribuito a un clima di denigrazione della categoria. Le degenerazioni successive, emerse nei recenti fatti di cronaca, non sono casuali ma hanno avuto modo di esplodere anche per l’indebolimento del ruolo dei docenti.
In questi anni gli insegnanti sono stati definiti “fannulloni” e persino “criminali”, o talvolta vessati da alcuni dirigenti scolastici (solo alcuni per fortuna, preciso) che interpretano la loro funzione come ruolo di potere autoritario ed assoluto (sono sopportabili le parole di una preside che sostenitrice della cosiddetta “buona scuola” in una intervista, come leggo in un articolo pubblicato sulla “Tecnica della Scuola” nel luglio 2015, affermava che “tanti docenti sono infingardi, fannulloni, incapaci e incompetenti”? Senza che il Ministero, a quanto mi risulta, abbia chiesto alla suddetta dirigente scolastica conto di tali epiteti nei confronti di “tanti” professionisti nel campo dell’istruzione, un settore che andrebbe maneggiato con delicatezza e sobrietà).
L’idea del “docente fannullone”, promossa da un Ministro della Repubblica (!), in realtà serviva per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica i tagli di Brunetta/Sacconi/Tremonti, tramite lo “strumento Gelmini”.
Per quanto riguarda la parola “criminale” usata, per definire uno sciopero degli insegnanti contro il Ddl che poi portò alla legge 107 (definita dai suoi estensori, non so se con poco stile o con un gran… senso dell’umorismo, “buona scuola”), da un’Associazione studentesca (una delle diverse associazioni e fondazioni interpellate dal Miur e che “sentenziano” sul mondo della scuola senza averne secondo me alcuna qualifica, mentre evidentemente l’entourage ministeriale assai meno ascolta il disagio -o le voci di dissenso quando si perseguono strade che inducono a pensare a tentativi di “aziendalizzazione” della scuola pubblica – della grande maggioranza del personale che in ambito scolastico opera quotidianamente) rimando, per non dilungarmi troppo, ad un articolo (utile per chi vuole approfondire la tempistica e il contesto che portarono a quelle pesanti affermazioni) pubblicato su questa testata on line, nel quale rilevai la gravità di tali ingiuriose considerazioni, soprattutto perché appresi che erano state pronunciate in una conferenza stampa alla quale erano presenti i capigruppo alla Camera del Pd e di Area popolare (partiti che sostenevano l’allora esecutivo), che non mi risulta ebbero da ridire sui termini usati per qualificare le scelte dei docenti: insomma, si può dire governi di differente colore politico, ma “tiro al docente” sempre valido o almeno tollerato!
L’emergenza educativa non può cogliere di sorpresa
Insomma quella che oggi viene giustamente definita una “gravissima emergenza educativa” non spunta fuori da un giorno all’altro e ha origine anche da politiche che hanno peggiorato il sistema scolastico, riversando peraltro sui docenti colpe invece attribuibili all’incapacità o alla volontà politica di perseguire negli ultimi decenni strategie ideologiche che contrastano con la difesa della scuola pubblica.
A tal proposito rimando ad un articolo di Anna Angelucci su “Micromega on line”: leggetelo (cliccando sul link), è un intervento davvero “illuminante” su come scelte didattiche e pedagogiche sbagliate, luoghi comuni fuorvianti, ottuse politiche retaggio di un neoliberismo ancora imperante seppure dimostratosi fallimentare abbiano profondamente dequalificato il ruolo degli insegnanti e contribuito all’attuale emergenza, di cui Angelucci evidenzia le ragioni e le responsabilità diffuse.
Nei casi più eclatanti di minacce e violenza non bastano blandi percorsi di riabilitazione formativa
E intanto gli episodi di violenza e di sopraffazione stanno diventano quasi una consuetudine e la situazione peggiorerà se non si adotteranno in sede scolastica (ed eventualmente, ove ne ricorrano i termini, anche penale) i rimedi più efficaci.
Come sottolineato in un intervento su questo argomento, spiegare ai ragazzi le regole deve accompagnarsi alla capacità di sanzionare i comportamenti se scorretti. Nei casi più eclatanti non sono sufficienti ammonimenti e blandi percorsi di riabilitazione formativa.
Peraltro, l’uso smodato e improprio dei nuovi mezzi di comunicazione (e ancora c’è, a dispetto delle cautele espresse da più parti, chi propone l’uso dello smartphone in classe: vai poi a controllare che uso ne farebbero gli alunni, magari in una “classe pollaio”!) può determinare anche il grande rischio dell’emulazione, come ha già prodotto la piaga del cyberbullismo verso coetanei e anche nei riguardi di insegnanti. I video degli studenti “bulli” (oltretutto vigliacchi perché spesso la loro arroganza, sopraffazione e prevaricazione si indirizza contro ragazzi più deboli o indifesi) inondano il web e la violenza dilaga anche a scuola.
Quando poi vedono che le cose si “mettono male” e rischiano severi provvedimenti (non solo disciplinari ma anche giudiziari), i ragazzi si scusano (neanche tutti, peraltro, lo fanno) consigliati magari dai loro genitori, ma è ormai un’abitudine consolidata, “una trama già vista” anche in contesti non scolastici, quando dopo aver commesso reati i colpevoli si “ravvedono” e si “scusano” come se ciò può alleggerire il reato commesso: è lodevole se tale ravvedimento venga maturato (magari meditando approfonditamente nel tempo a venire) ma ciò non può e non deve influire sulla pena da comminare! Altrimenti, vero o falso che sia il pentimento, sarebbe francamente troppo comodo: occorre riflettere prima di commettere gesti inconsulti e violenti.
Ritornando al tema specifico delle violenze e delle ingiurie ai docenti (i quali peraltro, nell’esercizio delle proprie funzioni, sono “pubblici ufficiali”) c’è anche da dire che lasciano molto perplessi certi comportamenti un po’ “giustificativi” di presidi (talvolta come se volessero non far conoscere i fatti per non rischiare una connotazione “negativa” dell’istituto scolastico, che invece proprio evidenziando e punendo tali accadimenti mostra la sua capacità e la sua forza) e docenti stessi (forse in questo caso intimoriti fisicamente e moralmente), così come mi sembrano troppo frequenti le attestazioni di perdono e di “comprensione” da parte di insegnanti minacciati, umiliati, malmenati. Beh, li perdonino se vogliono, ma ciò non deve condizionare o ammorbidire le sanzioni.
Come segnala in un suo recente articolo Reginaldo Palermo, “sta emergendo che talora i docenti sono restii a denunciare (o anche semplicemente a segnalare) gli atti di bullismo degli studenti, vuoi per un malinteso spirito di ‘comprensione’ (‘sono ragazzi’, ‘nel biennio gli studenti si comportano spesso così’ hanno dichiarato docenti coinvolti in questi episodi), vuoi anche per convinzione culturale e pedagogica (‘evidentemente sono io che non sono riuscita a recuperare il ragazzo’ aveva dichiarato una insegnante derisa pubblicamente in classe). E anzi, proprio in quest’ultimo caso, l’insegnante è stata ricevuta personalmente dalla Ministra Fedeli che le ha attribuito un riconoscimento formale, lasciando quasi a intendere che effettivamente se uno studente compie atti di bullismo, la scuola per prima deve interrogarsi e magari fare anche il ‘mea culpa’”.
Reginaldo Palermo invece auspica, giustamente, un intervento urgente anche del Miur finalizzato a fornire chiare indicazioni alle scuole su come intervenire in questi casi.
Basta con progetti di scuola/azienda, si torni a formare le coscienze civiche
Per quanto riguarda il ruolo del docente, proprio per non dare adito ad equivoci, concludo dicendo che ovviamente non si rivendica una posizione di autoritarismo ma di autorevolezza (senza essere autoritari).
La scuola deve tornare ad essere rappresentata e vissuta come luogo dove si formano le coscienze civiche (invece di un’alternanza scuola/lavoro che quasi sempre, soprattutto nei licei, è soltanto un tentativo di assuefazione ad un sistema aziendalistico, sarebbe meglio tornare ad insegnare la vecchia “educazione civica” o meglio dare spazio ad una disciplina tanto sbandierata anni fa ma poi lasciata nel dimenticatoio di un cassetto: mi riferisco a “Cittadinanza e Costituzione”), oltre che come fonte di conoscenza e di saperi.