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Enrico Letta nel giuramento Tv dimentica di proposito la scuola?

Perché Letta, che si è portato le dita in croce sulla bocca a mo’ di giuramento, si è guardato bene dal nominare la parola “scuola”, che pure Fazio gli aveva suggerito? Alcuni osservatori (a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina) pensano che abbia glissato (tagliato?) apposta la parola “scuola” dal suo giuramento proprio perché in aria spira il solito tempestoso vento dei tagli. 
Se dunque gli operatori dei teatri stabili, del cinema, delle arti e delle scienze, coi docenti universitari, possono stare tranquilli, perché “parola di re è parola di re”, non così gli insegnanti delle scuole di tutti gli altri ordini e gradi. Infatti, viene sostenuto, se qualcuno, di fronte a nuove potature di fondi alle scuole, gli dovesse ricordare il giuramento fatto in televisione e in forza del quale dovrebbe dimettersi, Letta potrà sempre dire, sostenendolo con la convinzione del giusto, di non avere mai nominato la parola “scuola”, per cui nessuno lo potrà mai incolpare di essere uno spergiuro fedifrago, ritenendosi dunque libero da qualunque solenne impegno.
Certamente potrebbe essere una possibile escamotage, quella di non avere pronunciato con razionale intenzione la parola “scuola” all’atto de giuramento per togliersi nel prossimo futuro dagli impicci e quindi dall’obbligo delle dimissioni, ma ci pare una forzatura, una invenzione linguistica degna del miglior Bertoldo della tradizione letteraria che sugli equivoci linguistici imbastiva le sue avventure. Una furbata, la giustificazione incentrata sul mancato pronunciamento del nome scuola, che renderebbe il presidente del consiglio, non già un politico serio che giuda il governo di una Nazione, ma una sorta di cabarettista aduso ai funambolici disguidi linguistici più presenti nella “Settimana enigmistica” che nelle realtà di ogni giorno.
Cosa potrebbe dire infatti, di fonte alla Nazione, qualora si continuasse ancora a tagliare sulla scuola:”Questo è stato il motivo per cui da Fazio non ho pronunciato la parola “scuola” ma tutte le altre parole che con l’istruzione e la cultura hanno a che fare? E siccome non ho pronunciato quel fatidico sostantivo non mi dimetto?”
Ma va là, direbbe un noto avvocato, e con che coraggio e sprezzo della dignità morale e politica potrebbe arrampicarsi Enrico Letta, presidente del consiglio della “pacificazione” voluto dal presidente delle Repubblica, Giorgio Napolitano, sulla liana (da qualcuno chiamata “tarzanella”) di una simile idiozia linguistica? Su una tanto strampalata giustificazione? Ma va là, parliamo di cose serie.

Pasquale Almirante

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