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Entro sei anni 2 milioni di posti nell’Ue nel digitale, ragazzi fatevi sotto

Nei prossimi cinque-sei anni nell’Unione europea il settore delle tecnologie d’informazione e comunicazione creerà “fino a 2 milioni di posti di lavoro in più”: si tratta di un’indicazione rilevante per i giovani che hanno intenzione di strutturare il proprio percorso formativo in vista di una ricerca lavorativa il meno possibile affannosa.
La proiezione non è quindi di poco conto. Anche perché a realizzarla è stata la Commissione europea, in occasione della pubblicazione di un rapporto sulla “competitività digitale” dell’Ue. Un rapporto che è servito alla stessa Commissione per ribadire ai Governi nazionali di “adottare politiche coordinate per eliminare le barriere che ostacolano i nuovi servizi” e garantire un accesso “semplice ed equo” ai contenuti digitali.
Tra i Paesi più bacchettati figura proprio l’Italia, che secondo Bruxelles sarebbe in clamoroso ritardo nell’alfabetizzazione informatica di massa: Martin Selmayr, portavoce del commissario Ue alle Telecomunicazioni Viviane Reding, ha sottolineato che se da una parte, sul fronte dei cellulari (nel 2008 c’erano 1,4 cellulari per ogni abitante, contro una media Ue dell’1,19), il nostro Paese è tra i più evoluti, dall’altra, quello dell’uso di internet, c’è ancora tanto da fare.
“Solo una minoranza degli italiani – spiegano da Bruxelles – naviga on line frequentemente e metà della popolazione non l’ha utilizzato neanche una volta. Le famiglie connesse alla rete sono il 47% contro una media europea del 60%, mentre la diffusione della banda larga è ferma al 31% rispetto al 49% nei Ventisette”.

Oggi gli italiani che usano regolarmente internet (almeno una volta a settimana) sono appena il 37%, mentre nei Ventisette arrivano al 56%; la posta elettronica è stata adottata dal 34% della popolazione, contro il 53% degli europei. La banda larga in Italia copre il 19% della popolazione, contro il 22,9% della media Ue, anche se ormai è disponibile nel 95,3% del territorio (92,7% nei Ventisette).
Tuttavia, il quadro italiano migliora di molto quando la lente si sposta sulle imprese e sull’amministrazione pubblica: il 51% dei nostri servizi pubblici ‘essenziali’ è infatti disponibile online, che secondo Bruxelles è la nona migliore prestazione all’interno dell’Ue, anche se solo il 28% dei cittadini dichiara di usarli.
Inoltre internet risulta piuttosto diffuso all’interno delle aziende: l’81% ha la banda larga, dato in linea con la media europea, e il 29% ha adottato le fatture online, contro il 21% nei Ventisette.
E a livello comunitario fa ben sperare la padronanza di queste tecnologie da parte degli under 24: il 73% di loro dichiara di ricorrere a internet per ‘servizi di comunicazione avanzata’ (Facebook, YouTube, MySpace e altri siti di condivisione file), contro il 35% dell’intera popolazione Ue.
Un terzo di questi “figli dell’era digitale” dichiara però di essere contrario a pagare per scaricare o guardare contenuti online, anche nella stessa fascia di età la percentuale di persone che ha pagato per ottenere questi servizi è il doppio rispetto alla media Ue (10% contro il 5%). Un dato che non sarà di certo sfuggito all’editore-magnate Rupert Murdoch, che proprio in questi giorni ha sentenziato la fine dell’era dalla rete internet gratuita: presto tutti i suoi prodotti on line, ad iniziare dal
Sunday Times, verranno proposto a pagamento. Un modo per cercare di risollevare le sorti delle testate cartacee, che hanno sempre meno attenzioni dai lettori proprio per la facile reperibilità delle notizie via internet. Ma così facendo, chiedendo soldi per accedere ai contenuti, non c’è il rischio che anche i giovani, i primi fruitori della rete, si allontanino dalla madre di tutte le reti compromettendo così proprio le raccomandazioni di Bruxelles?

Alessandro Giuliani

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