Epilogo della scuola democratica e del diritto allo studio

Il Ddl sulla riforma scolastica, proposto dal Governo, è un ordigno ad orologeria che rischia di far saltare gli ultimi ruderi della Scuola Pubblica, sulle cui rovine sarà impossibile riedificare, negli anni a venire, un sistema d’istruzione di qualità, una scuola che nel rispetto delle diversità, garantisca a tutti l’effettivo esercizio del diritto allo studio; diritto inalienabile sancito dalla nostra Costituzione e presupposto fondamentale di uno stato democratico e progressista.

Il piano della “Buona Scuola” rappresenta l’ennesimo duro colpo inferto all’organizzazione democratica di un’istituzione che, per le sue intrinseche peculiarità e le sue nobili finalità, non può assolutamente essere ridotta a mera azienda, dove le risorse umane e professionali, la cultura e la formazione diventano oggetto di calcolata e utilitaristica mercificazione. Analizzando bene la bozza del Ddl, emerge a chiare lettere una precisa volontà di stampo reazionario che cerca a tutti i costi di fare terra bruciata delle conquiste democratiche che, dagli anni settanta in poi, avevano in un certo qual modo apportato positive innovazioni nell’ordinamento scolastico italiano. L’istituzione degli Organi Collegiali, introdotti nel 1974, apriva finalmente la scuola alla partecipazione democratica di tutta la comunità sociale di appartenenza, tutelandola dal rischio di gerarchizzazioni al suo interno e dall’accentramento di potere che ne comprometteva la libera diffusione dei saperi e della cultura. Ora di queste conquiste si vuole fare piazza pulita, auspicando un ritorno ad un modello scolastico in cui la libertà d’insegnamento rischia di essere fortemente penalizzata e asservita a pericolosi condizionamenti ideologici e politici del potere di turno. Allo stesso modo i diritti dei docenti e dei nostri ragazzi costituiranno oggetto di baratto da vendere al migliore offerente e da dare in pasto ad un sistema clientelare sempre più radicato, soprattutto nel nostro territorio in cui il lavoro non è considerato un diritto, ma un privilegio. È inutile negare che l’attribuzione di pieni poteri ai Dirigenti Scolastici sia una delle scelte più infelici e antidemocratiche di questa riforma, scelta che neanche i precedenti governi di centro-destra, nella loro opera di destabilizzazione della scuola pubblica, hanno poi concretizzato.

Con la chiamata diretta i DS avranno la facoltà di reclutare i docenti per la copertura dei posti, secondo le esigenze di organico espresse dal Piano triennale dell’offerta formativa, ma in base a quale criterio essi sceglieranno i docenti? Tutto pare sia lasciato alla discrezionalità e al libero arbitrio degli stessi capi d’istituto che in questo contesto si vedono attribuire poteri e responsabilità di cui neanche i capi di aziende private ne sono investiti. Qualsiasi dirigente scolastico di buon senso e di sani principi sarebbe poco propenso a sobbarcarsi oneri che sicuramente metteranno in discussione la sua onestà e imparzialità.

La mancanza di criteri dettati dal rispetto di regole ben precise, in ordine a quelle che dovrebbero essere le priorità di cui bisogna tenere conto nel reclutamento, mette in seria discussione la tutela dei diritti acquisiti della classe docente e si rivela pertanto un attentato ai principi di legalità e democrazia. La scelta si attua in base a normative stabilite dalle leggi sul reclutamento e dalle norme contrattuali che tengano conto dei titoli posseduti, dell’anzianità di servizio e di altre precedenze e non può essere assolutamente assoggettata a pressioni esterne o agli umori e alle valutazioni soggettive di un capo d’istituto e del suo staff. Né tantomeno dovranno esserlo le cosiddette “valutazioni di merito” dei docenti, in seguito alle quali sarà prerogativa del dirigente effettuarle e stabilire a chi destinare lo “zuccherino”.

Per non parlare del fatto che, in questo nuovo modello di autonomia del capo d’istituto, un probabile pericolo in agguato potrebbe essere, principalmente nel nostro sud, l’influenza del potere mafioso e massonico che certamente non si esimerà dal pretendere privilegi e favori per i propri protetti, manovrando le azioni di reclutamento e insinuandosi così anche nella scuola, l’istituzione che per eccellenza dovrebbe invece garantire il rispetto della legalità e della trasparenza. Con molta probabilità accadrà che i dirigenti (mi auguro non tutti) saranno così portati a scegliere sulla base delle raccomandazioni, delle conoscenze, delle simpatie o antipatie e, infine, anche del curriculum posseduto dai docenti. In quest’ultimo caso è naturale che le scuole delle aree più sviluppate, con proposte d’offerta formativa più ricche tenderanno a reclutare i docenti con curriculum più corposi ed esperienze lavorative più quotate, avvalendosi anche dei finanziamenti volontari di aziende ed enti privati maggiormente presenti su questi territori (School bonus). Di contro, le scuole dei piccoli comuni e soprattutto le scuole del nostro Sud situate in aree disagiate, ad alto rischio di dispersione scolastica, non potendo contare su risorse private e su organici sostanzialmente più numerosi, in cui la differente molteplicità di competenze e professionalità costituisce una ricchezza e un valido investimento formativo, saranno degradate a scuole di terz’ordine e di conseguenza depauperate di risorse umane e materiali.

Avremo così, grazie al tanto decantato piano della “Buona Scuola”, scuole d’élite sempre più qualificate da una parte e scuole di frontiera dall’altra; una distribuzione dell’offerta formativa diseguale in tutto il territorio nazionale che non terrà assolutamente conto delle particolari esigenze d’istruzione e formazione delle aree socialmente e culturalmente deprivate e, pertanto, più esposte a fenomeni di devianza giovanile. Infine, la questione dei precari rappresenta l’ennesimo imbroglio all’italiana dove, dietro le mentite spoglie della stabilizzazione si nasconde il più grande licenziamento di massa mai realizzato nella scuola.

Con la nuova riforma si assume a tempo indeterminato chi già era destinato ad esserlo e si licenzia chi fino ad oggi ha garantito il funzionamento della nostra scuola (docenti con più di 36 mesi di servizio) ignorando volutamente la sentenza della Corte di Giustizia Europea che, invece, obbliga il Ministero dell’Istruzione alla stabilizzazione di questa categoria. 

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